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Scampoli di tessuto, distesi sull’erba. Sono tessuti per arredamento, pesanti e resistenti.

Giallo primario, rosso carminio, verde petrolio. A contrasto con l’altro verde dell’erba del giardino, più chiaro e appena bruciato dal sole estivo. Scelgo di partire dall’immagine, dai colori impressi nella memoria visiva in un tardo pomeriggio di fine luglio. Perché per qualche tempo siamo stati più sensibili a ciò che avesse una consistenza, una trama, una matericità, e non fosse soltanto immateriale e digitale.

Su quelle stoffe Marco Ferrari e Cristina Gallizioli hanno poggiato un modellino in legno che riproduceva in scala la struttura architettonica dell’edificio di Lottozero a Prato: un campo in miniatura di azione e sperimentazione per le loro ricerche sulla possibilità di immaginare una soft architecture, fatta di tessuti.
Quando i due architetti hanno iniziato ad interagire con il modello, alcune persone si sono alzate, altre un po’ avvicinate, per vedere meglio la trasformazione dell’edificio nelle loro diverse ipotesi di partizione interna degli spazi attraverso l’utilizzo del tessuto: stanze deformabili, stanze “appese” che si aprono come tende, solai a rete che permettono il passaggio della luce, pareti mobili e arrotolabili all’occorrenza.

A cielo aperto, nel giardino di Villa Romana, si è discusso di idee e visioni alternative al pensiero architettonico tradizionale. Si è aperto un nuovo immaginario, in cui è la persona a condizionare la logica strutturale dell’edificio, e non viceversa. Un nuovo concetto dell’abitare domestico.
La Scuola Popolare di Villa Romana ha intercettato questo e tanti altri esempi di libertà e creatività di pensiero. E lo ha fatto tempestivamente, con coraggio, dedizione e cura.

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