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Cercando di evitare l’errore di codice che il virus vorrebbe trascrivere nei corpi che riesce a penetrare ma non per questo rinunciando ai piaceri e al potenziale del ragionare in comunione con gli altri, a volte s’incappa in soluzioni felici. Solo così potrei definire l’esperimento di Scuola Popolare che quest’estate si è tenuto nello stupendo giardino di Villa Romana in quattro fasi denominate Imparare e Disimparare, Sé Narrabili, Terra Feconda e Fuga.
In rappresentanza delle riviste digitali La Macchina Sognante e The Dreaming Machine io Pina Piccolo, insieme a Federico Picerni e Sana Darghmouni abbiamo partecipato alla prima fase con due appuntamenti di poesia transnazionale a inizio luglio, “L’altro volto della poesia cinese oggi” il 2 luglio e  “Sulle ali della poesia dalla Palestina a Kolkata”, il 7 luglio.
Già il primo impatto con il giardino quasi tre anni fa aveva destato grande meraviglia perché, prevenuta dalla mia antipatia per i giardini rinascimentali che abbondano in città, non mi aspettavo una tale articolazione di spazi, il tutto senza soluzione di continuità. Invece attorno alla Villa la vista e gli altri sensi percepiscono un gradevole susseguirsi di angoli un po’ ‘selvaggi’ in cui le piante la fanno da padrone e radure che rivelano l’intervento di contadini, giardinieri e ortolani,  il padiglione utilizzato per mostre e incontri, il gazebo, lo sdraio/letto finestrato per osservare le stelle, il bosco di bambù che attira ma crea apprensione allo stesso tempo, il più addomesticato orto con i pomodori e le melanzane, i peperoni e le piante aromatiche, la piccola piantagione di susini che hanno visto tempi migliori, gli ulivi giovani che si riappropriano della terra con le loro radici un po’ storte e forme bizzarre, i cipressi sul limitare a mo’ di barriera. Un misto di piante autoctone e di piante dalle provenienze lontane. Tutta questa diversità di forme, funzioni, espressività, stadi cronologici di sviluppo è solo la punta dell’iceberg di tutto quel lavorio di radici, funghi, intrecci, scambi di nutrienti e di informazioni – e chissà forse anche immaginazioni ed intelligenze eterogenee- che si dipana nel sottosuolo e di cui sappiamo molto poco. In un certo senso, da un lato il mistero dovuto alla nostra ignoranza degli ecosistemi ci ricorda dei nostri limiti nel campo dello scibile, ci rendiamo conto della nostra non conoscenza nel giardino, ma dall’altro la bellezza di questo locus amenus ci incalza ad esplorare quasi per analogia la bellezza del più misterioso dei generi letterari, la poesia, e nel nostro caso quella di un continente come l’Asia sul quale storicamente abbiamo proiettato abbondanti dosi di esotismo.
Grazie alle profonde conoscenze di Federico Picerni che da anni vi dedica approfondite ricerche per il suo dottorato, abbiamo ascoltato anche attraverso filmati le voci di lavoratori migranti, spesso ex contadini, alcuni di stanza a Picun, un sobborgo alla periferia di Beijing che si ritrovano per scrivere poesia e per perfezionare la propria formazione letteraria con l’aiuto di docenti universitari volontari. Tra il pubblico vi erano conoscitori della tradizione contadina toscana di poesia estemporanea in ottava rima che hanno messo in evidenza i punti di contatto tra queste esperienze solo in apparenza lontane. L’altro nucleo che abbiamo esaminato, quello dei poeti della Scuola Enciclopedica cinese, che ha attirato la nostra attenzione con il suo ambizioso programma di fondere umanesimo e scienze rinnovando il linguaggio poetico ci ha riservato una piacevole sorpresa in un secondo momento pubblicando sulla loro piattaforma in Cina immagini della serata e un resoconto. Questo desiderio delle radici di estendersi ed intrecciarsi ha avuto ancora una terza fase che pur avendo origine nel giardino di Villa Romana si è manifestata ben lontana: sono nati degli scambi tra i poeti cinesi e quelli indiani presentati nel secondo appuntamento e che prima non si conoscevano. Utilizzando l’inglese come lingua ponte hanno avviato un progetto di traduzione reciproco delle poesie presentate quella sera, mentre sul confine sino-indiano i soldati proseguivano le mortali scaramucce che ormai si ripetono da decenni.
E notizia della Scuola Popolare di Villa Romana è arrivata in un articolo del quotidiano principale di Kolkata grazie agli sforzi di Animikh Patra e Sanghamitra Halder, due dei poeti presentati il 7 luglio e che abbiamo ascoltato in video leggere le proprie poesie in Bangla con sottotitoli in italiano. Sullo schermo le loro teste campeggiavano accanto alle piante di pomodoro, sotto la fioca luce delle candele. La tecnologia, la poesia e la natura si muovono in maniere misteriose ma è come se per magia fossero artefici della chiusura di un circolo virtuoso tanto necessario in questi tempi di isolamento, scontro e menzogne. Chissà forse la poesia o le arti in generale ci salveranno – Grazie Villa Romana per offrire questi spazi.

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