Incontri, conversazioni e workshop
da giugno a settembre nel giardino di Villa Romana
Più di 80, tra artisti e collettivi, ricercatori e attivisti, hanno partecipato alla call di Scuola Popolare: più di quanto potessimo sperare per l‘estate di Villa Romana. Le proposte selezionate confermano un bisogno di scambio nello spazio dell‘arte e sebbene varie per formato, condividono alcuni quesiti e interessi. Per questo, le abbiamo raggruppate in quattro capitoli – Imparare e Disimparare, Sé Narrabili, Terra Feconda e Fuga – che si succederanno dal 22 giugno al 22 settembre, quando ci ritroveremo infine con ospiti e amici a parlare di città e di ciò che questa ci permette di fare nel post Covid 19.
Gli eventi si svolgeranno nel giardino di Villa Romana, al mattino o nel pomeriggio per resistere al caldo! La partecipazione è gratuita. Vi chiediamo di mantenere la distanza di sicurezza di 1,50 mt e di portare le vostre mascherine. I gel disinfettanti sono invece disponibili in loco. Infine, un consiglio: anche le zanzare amano il nostro giardino, portatevi uno spray, che potrebbe esservi utile! Non sara‘ servito cibo.
Di seguito è riportata una panoramica dell‘intero programma. Nei prossimi tre mesi invieremo focus settimanali e vi consigliamo di consultare il nostro sito, e seguirci su Facebook e Instagram per tutti gli aggiornamenti!
Se siete interessati ai workshop – se possibile – fateci sapere della vostra partecipazione con una settimana di anticipo rispetto all‘inizio dei lavori. Scriveteci a office@villaromana.org.
Non vediamo l‘ora che arrivi questa grande estate, ci vediamo a Villa Romana!
Angelika Stepken, Agnes Stillger, Davood Madadpoor con Ilaria Gadenz e Carola Haupt (Radio Papesse)
giugno
Riflessioni per un’auto etnografia (1/5)
Angelica Pesarini (sociologa) con Black History Month Florence (BHMF)
Conoscersi – Fischi per Fiaschi: Esercizi di Spaesamento e Impagliatura
Fischi per Fiaschi è una serie di 5 workshop intersezionali, dialoghi ed esercizi guidati da facilitatori trasversali alle discipline che seguono e guidano i partecipanti in un processo di disorientamento e riorientamento con l’obiettivo di elaborare le positività, evidenziare l’ignoranza come potenziale crescita e decentrare l’io in relazione ad una serie di aree di studio tra cui la musicologia, la creatività, l’etnografia, il patrocinio politico e il rituale. Ogni sessione è accompagnata da un laboratorio pratico collettivo che rielabora una tradizione toscana: l’impagliatura dei fiaschi. La frase “prendere fischi per fiaschi“ allude a forme di confusione o a drastici errori di percezione.
CONOSCERCI – FISCHI PER FIASCHI (1/5)
Le metodologie etnografiche di radicamento di ogni partecipante nel proprio contesto culturale, saranno utilizzate come mezzo per elaborare la nostra relazione reciproca e la pratica di „conoscersi“. Verrà introdotto il lavoro´“dell’impagliatura dei fiaschi” e ogni partecipante sarà impegnato in questo, riflettendo sulla storia orale e la comprensione individuale del lignaggio e del bagaglio culturale.
Angelica Pesarini è docente in Sociologia alla New York University di Firenze dove insegna “Black Italia”, un corso dedicato all’analisi delle intersezioni di razza, genere e cittadinanza in Italia. Angelica ha conseguito un Ph.d. in Sociologia e Studi di Genere in Inghilterra e ha lavorato come docente di Genere, Razza e Sessualità ll’università di Lancaster prima di riapprodare in Italia nel 2017. Il suo lavoro di ricerca riguarda le negoziazioni di genere, razza e identità nell’Italia coloniale e postcoloniale. In precedenza Angelica ha indagato le relazioni tra identità di genere e attività economiche presso alcune comunità Rom residenti a Roma, ed ha analizzato strategie di rischio, sopravvivenza e opportunità nel contesto della prostituzione minorile maschile, a Roma. Angelica ha pubblicato diversi saggi e articoli accademici e sta attualmente scrivendo la monografia della sua ricerca di dottorato.
Laboratorio motorio
Kinkaleri, Marco Mazzoni (artista / danzatore)
ViRus 20
ViRus 20
ViRus 20 è un laboratorio motorio rivolto a tutti sulla trasmissione del codiceK. Inventato da Kinkaleri, questo codice gestuale traduce ogni lettera dell’alfabeto in movimento.
Questa pratica, attraverso l’assunzione delle lettere come forma generante di movimento, innesca nel pensiero di chi la usa, uno scarto formale che ne modifica la percezione motoria; il praticante si trova a parlare danzando e a pensare al movimento come un flusso dinamico di gesti/parole in continuo divenire che, collocati nello spazio e nel tempo, sviluppano nuove strategie motorie e compositive. Attraverso l’utilizzo del codiceK, il danzatore si colloca in un contesto sempre attivo, dove l’alfabeto gestuale non è forma da imitare ma luogo dove stare, un qui e ora dinamico/verbale che, come una calligrafia, si espone soggettivamente senza sottrarsi alla forma che genera, ridefinendo l’idea del muoversi.
Dance is a ViRus!
Kinkaleri nasce a Firenze nel 1995. Il gruppo è formato attualmente da Massimo Conti, Marco Mazzoni e Gina Monaco. Kinkaleri opera fra sperimentazione teatrale, ricerca sul movimento, performance, installazioni, allestimenti, materiali sonori, cercando un linguaggio non sulla base di uno stile ma direttamente nell’evidenza di un oggetto. I lavori del gruppo hanno ricevuto ospitalità presso numerose programmazioni in Italia e all’estero, teatri, centri d’arte con- temporanea, festivals e spazi espositivi fra cui Triennale/Teatro dell’Arte – Milano, Teatro Fabbricone – Prato, Teatro Grande – Brescia, Sophiensaele e KunstHalle Deutsche Bank – Berlino, Centre Pompidou – Parigi, Kaaitheater e KunstenFESTIVALdesArts – Bruxelles, Centro Pecci – Prato, Fondazione Gulbenkian – Lisbona, Kitazawa Town Hall – Tokyo, Oriental Pioneer Theatre – Pechino, Mercat de les flors – Barcellona, La Batie Festival – Ginevra, Festivan di Santarcangelo – Santarcangelo, Palazzo Strozzi – Firenze, Biennale Danza – Venezia, MAXXI – Roma, Athens Festival – Atene.
Laboratorio di co-(de)costruzione (1/2)
TAB Take Away Biblographies e CodesignToscana
Facilities: Pratiche di co-(de)costruzione del mondo
FACILITIES: Pratiche di co-(de)costruzione del mondo
A partire dalla parola-universo Facilities, si invitano i partecipanti a decostruire ciò che appare normalmente come già-dato e quindi raramente messo in discussione, per sviscerare strumenti, processi, materiali, manodopera e lavoro culturale sommersi e invisibili, nascosti che – attraverso complesse forme di interazione – ci permette di fruire di prodotti, servizi, luoghi e tempi che spesso ci appaiono invece troppo ingenuamente innocenti nel loro essere nel mondo…
imagesLettura e conversazione
Dott. Nicola Mariotti (psicologo / psicoterapeuta / psicanalista)
Rompere in caso di emergenza
ROMPERE IN CASO DI EMERGENZA
Il virus che ha messo in ginocchio il mondo è costituito da un insieme di 4 proteine, di cui una contiene RNA, un messaggio codificato che ha bisogno di un ospite su cui rilasciare la sua scrittura materica fatta di reazioni bio-chimiche. In psicanalisi si potrebbe dire che il virus è un significante: la materia, il supporto di una significazione.
Ciascuno di noi ne ha un tesoretto che ci consente di scrivere, parlare e immaginare il mondo sostenendo l’ampia gamma delle posizioni che ciascuno di noi può assumere nella vita; dalle parole „liberate“ nell’impegno artistico alle parole macinate ciecamente nell’adesione al pensiero dominante.
Una minuscola scheggia di materia è diventata una questione politica nel senso più ampio del termine, come qualcosa nei confronti del quale siamo chiamati a prendere posizione, perché il virus ha trasformato gli aspetti più ordinari della nostra vita – le relazioni, gli incontri, l’operosità, l’amore – in un fatto di interesse collettivo e li ha resi oggetto di una critica e di una decisione.
Nel corso dell’incontro si affronteranno – a più voci – gli eventi recenti che hanno portato in primo piano ciò che prima funzionava in maniera tacita, irriflessa; quell’insieme di gesti che regolavano la nostra quotidianità e trascorrevano nel silenzio della ragione.
Workshop/Incontro (1/2)
Fabrizio Ajello (artista)
Gli ultimi (non) saranno I primi: ipotesi e strategie per una scuola comunitaria
GLI ULTIMI (NON) SARANNO I PRIMI
Gli ultimi (non) saranno i primi è un laboratorio aperto a tutti, in due atti, per discutere e Ideare strategie, ipotesi e proposte per rinnovare le relazioni tra le istituzioni culturali operanti a Firenze, partendo dall’istruzione, dalla formazione, dalla condivisione dei saperi e dalle vulnerabilità dei progetti educativi di oggi e di domani. A conclusione del laboratorio verrà prodotta una fanzine con i risultati del lavoro collettivo.
Fabrizio Ajello (Palermo, 1973) si è laureato, nel 1995, presso la Facoltà di Lettere e Filosofia di Palermo, con una tesi in Storia dell’Arte Contemporanea. Dal 2005 ha lavorato al progetto di arte pubblica, Progetto Isole. Nel 2008 è uno dei fondatori e curatori del progetto di arte pubblica Spazi Docili, basato a Firenze, che in questi anni ha prodotto indagini sul territorio, interventi, workshop e talk presso istituzioni pubbliche e private, mostre e residenze artistiche.
Conferenza
Flavio Favelli (artista)
Storia dei Soldi
STORIA DEI SOLDI
Nel corso degli ultimi anni, Flavio Favelli si è occupato di banconote, e delle immagini che vi sono stampate sopra. Nel 2018, a Forlì, grazie alla collaborazione con la cooperativa sociale DiaLogos, Flavio Favelli ha tenuto un workshop con un gruppo di richiedenti protezione internazionale provenienti da diversi paesi africani. Attraverso il disegno, le giornate di lavoro si sono sviluppate attorno al ricordo delle immagini stampate sulle banconote dei paesi d’origine di ogni partecipante. A Firenze, sulla scia di queste esperienze, Favelli darà una breve lezione sulle banconote, un’introduzione a un possibile futuro workshop.
Flavio Favelli è nato a Firenze nel 1967, nel 1993 consegue la Laurea in Storia Orientale presso ‘lUniversità di Bologna e solo successivamente intraprende la carriera artistica. Le sue opere sono state esposte in prestigiose istituzioni internazionali, tra queste: MAXXI, Roma (2012, S; 2010, G); Museo del Novecento, Milano (S, 2012), MACRO, Roma (G, 2012; 2011, S); RISO Museo dArte Contemporanea, Palermo (G, 2011), American Academy in Rome (2011, G; 2010, S); Tate Modern, Londra (G, 2010), MCA, Chicago (G, 2009), Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino (G, 2008; 2007, S; 2002, G); Palazzo Grassi, Venezia (G, 2008). Nel 2012 ha rappresentato l’Italia alla 11° Biennale de La Habana e per due volte, nel 2003 e nel 2013, l’artista ha preso parte alla Biennale d’Arte di Venezia.
Workshop di musica e storytelling (2/5)
Dudù Kouate (musicista) con Black History Month Florence (BHMF)
Raccontarsi – Fischi per Fiaschi: Esercizi di Spaesamento e Impagliatura
Fischi per Fiaschi è una serie di 5 workshop intersezionali, dialoghi ed esercizi guidati da facilitatori trasversali alle discipline che seguono e guidano i partecipanti in un processo di disorientamento e riorientamento con l’obiettivo di elaborare le positività, evidenziare l’ignoranza come potenziale crescita e decentrare l’io in relazione ad una serie di aree di studio tra cui la musicologia, la creatività, l’etnografia, il patrocinio politico e il rituale. Ogni sessione è accompagnata da un laboratorio pratico collettivo che rielabora una tradizione toscana: l’impagliatura dei fiaschi. La frase “prendere fischi per fiaschi“ allude a forme di confusione o a drastici errori di percezione.
RACCONTARSI – FISCHI PER FIASCHI (2/5)
Dudù Kouate esaminerà il ruolo e la forma delle narrazioni orali nell’espandersi oltre il ristagno delle forme scritte, mettendo in discussione le distinzioni gerarchiche tra archivi orali e scritti.
In questa sessione verrà elaborata una riflessione sull’oralità come tradizione tramandata in dialogo con la storia scritta. I partecipanti saranno invitati a „raccontarsi“ sulla base di forme e strutture musicali. Verrà introdotto il lavoro “dell’impagliatura dei fiaschi”, al quale ogni partecipante sarà coinvolto mentre rifletterà sulla narrazione.
Dudù Kouate è nato in Senegal nel 1963 da una famiglia di griot, noti per essere i custodi della tradizione culturale e musicale africana. Dopo gli studi umanistici nel suo Paese si trasferisce in Europa. Vive a Bergamo, dove da molti anni insegna percussioni africane. Fa laboratori sulla storia degli strumenti tradizionali africani, cercando di tracciare i confini territoriali delle popolazioni ed è membro di varie formazioni musicali tra cui il Chicago Art Ensemble.
Conversazione (1/2)
Open Program of the Workcenter of Jerzy Grotowski and Thomas Richards
Cittadinanza attiva e i limiti dell’innocenza: su responsabilità, creatività e la costruzione di un mondo nuovo
CITTADINANZA ATTIVA E I LIMITI DELL’INNOCENZA
Negli ultimi mesi molte persone nel nord del mondo si sono confrontate, per la prima volta, con carenze di forniture, restrizioni alla mobilità, improvvise perdite di posti di lavoro ecc. La fragilità della società globale nel suo complesso si è rivelata con chiarezza, e questo può forse avvicinarci a una semplice verità: che una società funzionante ha bisogno della partecipazione dei suoi cittadini per incamminarsi verso una maggiore giustizia, equità e sostenibilità. E ha bisogno della visione di un possibile futuro migliore. Dalla creazione artistica di una temporanea utopia, allo sviluppo di una consapevolezza sui temi razziali, ci sono molte lezioni da trarre dalla pratica di una cittadinanza attiva portata avanti al di fuori delle strutture date della società.
Il Workcenter of Jerzy Grotowski è stato fondato nel 1986 su invito del Centro per la Sperimentazione e la Ricerca Teatrale di Pontedera, Italia (ora: Teatro della Toscana – Centro per la Sperimentazione e la Ricerca Teatrale), e dei suoi direttori Roberto Bacci e Carla Pollastrelli. Per 13 anni, fino alla sua morte nel 1999, Grotowski ha sviluppato al Workcenter una linea di ricerca sulle arti performative nota come arte come veicolo. Iniziato nel 2007 su iniziativa di Mario Biagini, Open Program è un collettivo composto da 10 artisti di 4 continenti che creano occasioni per l’incontro. Al cuore delle arti performative c’è un incontro: non c’è concerto senza musicisti e pubblico, né teatro senza attori e spettatori, né apprendimento senza insegnanti e studenti. Dall’interazione con amici e sconosciuti, professionisti e dilettanti, arte e scienza, locale e globale, anziani e giovani, tradizione e innovazione, nascono le ricerche e le scoperte dell’Open Program.
Laboratorio (1/2)
Daria Filardo (storica dell’arte) e Chiara Camoni (artista)
Arte e vita: piante, oggetti, autobiografie, dialoghi, piccole comunità
ARTE E VITA: piante, oggetti, autobiografie, dialoghi, piccole comunità
L’intervento propone un momento di riflessione, dialogo e workshop sulla relazione fra arte e vita, sulla forte presenza autobiografica come racconto di sé che risuona e s’intreccia al racconto dell’altro. Il percorso è articolato in due giorni nel giardino di Villa Romana. Attraverso un workshop fatto di parole e azioni, raccolta di fiori, foglie, letture e dialoghi con Chiara Camoni e Daria Filardo, racconteremo della natura intorno a noi come punto di partenza per una riflessione sulla pratica artistica e letteraria che usa l’esperienza autobiografica come lente di osservazione di un mondo più grande di sé…
imagesluglio
Workshop (2/2)
Daria Filardo (storica dell’arte) e Chiara Camoni (artista) (vedi 30.06.)
ARTE E VITA (vedi 30.06)
La seconda serata vedrà un racconto/intervento di Daria Filardo aperto al dialogo con tutti i partecipanti, poi guidati da Chiara Camoni ci dedicheremo all’apertura delle sete composte il giorno prima.
Lezione e reading
Federico Picerni (Dottorando Università Ca‘ Foscari Venezia / Ruprecht-Karls-Universität Heidelberg) e Pina Piccolo (scrittrice)
L‘altro volto della poesia: poeti operai ed enciclopedisti in Cina
L’ALTRO VOLTO DELLA POESIA: poeti operai ed enciclopedisti in Cina
Sulle ali della poesia in Cina: i poeti operai di Picun e i poeti della Scuola Enciclopedica.
Dal vasto e ricchissimo panorama della poesia cinese contemporanea, Federico Picerni, studioso di letteratura cinese, e Pina Piccolo, coordinatrice del contenitore di scritture dal mondo La Macchina Sognante propongono le opere di due raggruppamenti di poeti attualmente attivi in Cina: i poeti operai del gruppo letterario di Picun e i poeti della scuola enciclopedica. Con l’aiuto di spezzoni dal film “The Verse of Us” e dal video “Noi veniamo dall’officina”, usando le lenti di “macchina” e “letteratura” si arriverà a confrontare e riflettere sui punti di contatto e di divergenza di queste due compagini e mondi a prima vista incompatibili tra di loro.
Sessione di storytelling
Campo Base (collettivo curatoriale)
How to fall in love with a place?
HOW TO FALL IN LOVE WITH A PLACE?
How to Fall in Love With a Place? è una sessione di storytelling che riflette sul sentimento di affezione provato nei confronti di un luogo e sulla percezione della distanza rispetto a un luogo desiderato. L’evento si propone di coinvolgere la comunità dei partecipanti nella creazione di una narrazione corale che, a partire dalle esperienze personali di ciascun narratore, generi le condizioni per la produzione di significati che rappresentino valori condivisi e comuni. Che cosa significa innamorarsi di un posto? In che modo viene innescato questo processo di affezione, e quali sono le sue implicazioni sociopolitiche? A partire dalle contingenze e dalle costrizioni vissute durante il periodo di lockdown degli ultimi mesi vogliamo riflettere sul tema del desiderio e della distanza percepita rispetto al luogo desiderato.
imagesConfronto sulle origini della creatività (3/5)
Adama Sanneh (facilitatore culturale) con Black History Month Florence (BHMF)
Esprimersi – Fischi per Fiaschi: Esercizi di Spaesamento e Impagliatura
Fischi per Fiaschi è una serie di 5 workshop intersezionali, dialoghi ed esercizi guidati da facilitatori trasversali alle discipline che seguono e guidano i partecipanti in un processo di disorientamento e riorientamento con l’obiettivo di elaborare le positività, evidenziare l’ignoranza come potenziale crescita e decentrare l’io in relazione ad una serie di aree di studio tra cui la musicologia, la creatività, l’etnografia, il patrocinio politico e il rituale. Ogni sessione è accompagnata da un laboratorio pratico collettivo che rielabora una tradizione toscana: l’impagliatura dei fiaschi. La frase “prendere fischi per fiaschi“ allude a forme di confusione o a drastici errori di percezione.
ESPRIMERSI – FISCHI PER FIASCHI (3/5)
Fischi per Fiaschi è una serie di 5 workshop intersezionali, dialoghi ed esercizi guidati da facilitatori trasversali alle discipline che seguono e guidano i partecipanti in un processo di disorientamento e riorientamento con l’obiettivo di elaborare le positività, evidenziare l’ignoranza come potenziale crescita e decentrare l’io in relazione ad una serie di aree di studio tra cui la musicologia, la creatività, l’etnografia, il patrocinio politico e il rituale…
imagesConversazione (2/2)
Open Program of the Workcenter of Jerzy Grotowski and Thomas Richards (vedi 29.06.)
Secondo appuntameno
Negli ultimi mesi molte persone nel nord del mondo si sono confrontate, per la prima volta, con carenze di forniture, restrizioni alla mobilità, improvvise perdite di posti di lavoro ecc. La fragilità della società globale nel suo complesso si è rivelata con chiarezza, e questo può forse avvicinarci a una semplice verità: che una società funzionante ha bisogno della partecipazione dei suoi cittadini per incamminarsi verso una maggiore giustizia, equità e sostenibilità. E ha bisogno della visione di un possibile futuro migliore. Dalla creazione artistica di una temporanea utopia, allo sviluppo di una consapevolezza sui temi razziali, ci sono molte lezioni da trarre dalla pratica di una cittadinanza attiva portata avanti al di fuori delle strutture date della società.
Laboratorio di co-(de)costruzione (2/2)
TAB Take Away Biblographies e CodesignToscana (vedi 23.06.)
Durante il secondo appuntamento – il primo è stato il 23 giugno – l’attività sarà dedicata all’individuazione e co(de)costruzione delle facilities che permettono alla città di darsi ed essere fruita, con un esercizio immaginativo a partire da una cartografia della città di Firenze.
TAB Take Away Bibliographies è un progetto artistico ed editoriale, dedicato alla ricerca bibliografica, che proporrà liste di fonti multidisciplinari su invito e coinvolgimento di contributor differenti. Con la risemantizzazione di una delle attività di ricerca più comuni – la costruzione di una bibliografia – come atto corale al di fuori delle costrizioni accademiche, TAB mira ad essere un terreno comune per rivalutare la capacità di agire individuale e collettiva nei processi di apprendimento informale. TAB é un progetto di Chiara Vacirca e Rita Duina.
CodesignToscana (CdT) è un network e un’associazione nata da un gruppo spontaneo di designers, professionisti e appassionati di approcci collaborativi alla progettazione e all’innovazione sociale. CdT vuole generare e favorire relazioni tra i diversi attori sul territorio locale, facilitandone l’innovazione e la crescita culturale con processi e metodologie design-based. Marco Berni, Andrea Del Bono e Anthea Vigni.
Lezione e reading
Prof. Sana Darghmouni (Università di Bologna / Università Ca‘ Foscari Venezia) e Pina Piccolo (scrittrice)
Sulle ali della poesia da Kolkata alla Palestina
SULLE ALI DELLA POESIA DA KOLKATA ALLA PALESTINA
Continuiamo il nostro viaggio nel mondo della poesia contemporanea in Asia – tra Palestina e India – con l’aiuto di immagini scattate nei luoghi della produzione poetica; in video sentiremo la voce dei poeti che recitano in Bengali, con sottotitoli in italiano. Vi invitiamo a esplorare il mondo dei giovani poeti di Kolkata, uno dei massimi centri mondiali per la poesia, focalizzandoci sui versi di poeti nati negli anni ‘80 e vicini alla rivista Duniyaadaaari, particolarmente Aminikh Patra, Sanghamitra Halder e Aritra Sanyal (a cura di Pina Piccolo).
L’intervento sulla Palestina, a cura di Sana Darghmouni, prevede 4 poeti tradotti e inseriti in varie uscite de La Macchina Sognante, tra cui Ashraf Fayadh, con un breve cenno alla sua ultima opera Epicrisi. Il secondo poeta è Ghayath Almadhoun, molto attivo nel panorama della poesia araba contemporanea. La presentazione si sposterà sull’impegno delle donne nello scenario politico, sociale e culturale con due esempi di due generazioni diverse: Sahar Khalifa, che rappresenta la generazione palestinese vissuta tra la nakba e la naksa e Fatina Alghorra, che rispecchia la nuova generazione a cui è toccata anche l’esperienza della migrazione.
Laboratorio di ricamo e performance (1/2)
Virgina Zanetti (artista)
Be a poem
BE A POEM
Workshop ed azione collettiva, parte del progetto ARKAD, a cura di Dimora OZ e Analogique, Le Parallèles du sud, Manifesta 13, Marsiglia 2020
Il workshop e aperto a 12 partecipanti.
Per info e registrazione scrivete a office@villaromana.org e info@virginia-zanetti.com
Deadline 6 luglio.
“Nell’emergenza l’atto creativo si è spostato all’interno della vita stessa ma la poesia si rivela ancora l’unico mezzo per sconfiggere il Tempo. Alcune frasi del mio diario, tenuto nei giorni di isolamento, sono diventate poesie che ho ricamato su alcuni capi di abbigliamento. Il ricamo è una tecnica che amo per la sua capacità di indurre alla meditazione, con lo scopo immediato di calmare la mente. Queste frasi sono diventate una serie di poesie da indossare.“ (Virginia Zanetti)
Ognuno dovrà portarsi un proprio capo d’abbigliamento da ricamare e dovrà pensare ad una parola o una breve frase poetica da ricamare, esito di una riflessione personale. Sarà poi possibile portare con sé il lavoro realizzato.
L’azione collettiva sarà aperta a tutti alle ore 19:30 del giorno 10 luglio.
Si chiederà ai partecipanti di iniziare e concludere il percorso che si chiuderà con un’azione simbolica collettiva.
Virginia Zanetti, artista e docente, vive a Prato. Laurea in pittura con lode all’Accademia di belle arti di Firenze, si specializza in didattica dell’arte. Lavora sia in luoghi non convenzionali sia in istituzioni italiane e estere per la cultura e l’arte contemporanea. Cofondatrice di Estuario project space di Prato e del Laboratorio del Futuro, piattaforma di discussione in cui intellettuali di varie aree culturali si incontrano e dibattono insieme ai cittadini i temi principali del nostro tempo.
Lecture e conversazione
Pierluca Birindelli (professore di sociologia)
Coronavirus, arte e bellezza
CORONAVIRUS, ARTE E BELLEZZA
Nel mese di Marzo del 2020 un gruppo di 35 studenti americani viaggiava in Europa durante la pausa primaverile. In quel momento il loro sogno italiano ed europeo si è fermato completamente. Sono tornati rapidamente a Firenze e poi negli Stati Uniti.
Tutti gli studenti erano iscritti al mio corso di Sociologia dell’Arte. Ho chiesto di scrivere un resoconto narrativo su come hanno affrontato questa emergenza. Ho anche chiesto di riflettere su un’opera d’arte o un „lampo di bellezza“ che durante quelle settimane li ha toccati, tenuto compagnia, portato consolazione nelle loro vite.
Condividerò e discuterò con voi alcuni passaggi narrativi.
Laboratorio di ricamo e performance (2/2)
Virginia Zanetti (artista) (vedi 08.07.)
Laboratorio sulla rappresentanza politica
Antonella Bundu (attivista e consigliere comunale) con Black History Month Florence (BHMF)
Rappresentarsi – Fischi per Fiaschi: Esercizi di Spaesamento e Impagliatura
Fischi per Fiaschi è una serie di 5 workshop intersezionali, dialoghi ed esercizi guidati da facilitatori trasversali alle discipline che seguono e guidano i partecipanti in un processo di disorientamento e riorientamento con l’obiettivo di elaborare le positività, evidenziare l’ignoranza come potenziale crescita e decentrare l’io in relazione ad una serie di aree di studio tra cui la musicologia, la creatività, l’etnografia, il patrocinio politico e il rituale. Ogni sessione è accompagnata da un laboratorio pratico collettivo che rielabora una tradizione toscana: l’impagliatura dei fiaschi. La frase “prendere fischi per fiaschi“ allude a forme di confusione o a drastici errori di percezione.
RAPPRESENTARSI – FISCHI PER FIASCHI (4/5)
Anotnella Bundu esaminerà i ruoli della rappresentanza e del servizio pubblico da un punto di vista socio-politico e si impegnerà in uno scambio di consulenza collettiva e di sostegno politico.
Il cambiamento e il rammendo delle opinioni pubbliche, personali e dell’etica sono inquadrati ed elaborati attraverso approcci collettivi alla scrittura di manifesti. Il lavoro „dell’impagliatura dei fiaschi“ sarà introdotto e ogni partecipante ne prenderà parte mentre elaborerà le proprie posizioni di „rappresentazione“ nei confronti delle comunità e dei gruppi localizzati.
Antonella Bundu è nata a Firenze nel 1969 da padre sierraleonese e madre italiana. Si definisce „una donna nera, fiorentina e di sinistra“. Attivista per i diritti civili di Oxfam, ha vissuto tra Firenze, in Sierra Leone e in Inghilterra, per poi stabilirsi stabilmente nel capoluogo toscano dal 1989 e frequentare la Scuola per Interpreti e Traduttori. Sorella del pugile Leonard, 7 volte campione europeo dei pesi welter dell’UER, ha lavorato come bibliotecaria, organizzatrice di eventi culturali e impiegata in uno studio di architettura. È la prima candidata nera a sindaco di Firenze con una coalizione di sinistra che comprendeva Sinistra Italiana, Mdp-Articolo 1, Possibile, Rifondazione Comunista, Firenze Città Aperta, Potere al Popolo. Fa parte del Consiglio Comunale della città di Firenze.
Presentazione del libro
Pietro Gaglianò (critico d‘arte) in dialogo con Ilaria Gadenz (Radio Papesse)
La sintassi della libertà. Arte, pedagogia, anarchia.
LA SINTASSI DELLA LIBERTÀ. ARTE, PEDAGOGIA, ANARCHIA.
La sintassi della libertà (Gli Ori, 2020) rilegge due secoli di storia ricucendo i termini della relazione tra arte e pedagogia libertaria. Il pensiero anarchico funziona qui come un dispositivo dialettico tra i due ambiti, per esaltare la continuità tra il potenziale di emancipazione dell’arte e quello dell’educazione. Da Courbet al Situazionismo, da Bakunin a Paul Goodman, da John Cage a Judy Chicago, fino ai protagonisti della scena artistica contemporanea analizzata da un punto di vista poco consueto che privilegia il margine e l’ibrido, il libro percorre il pensiero e le vicende di artisti, rivoluzionari e appassionati pedagoghi, in un movimento continuo tra Europa e America.
Pietro Gaglianò (1975) è critico d’arte e curatore. Dopo aver conseguito la laurea in architettura, ha approfondito il rapporto tra l’estetica del potere e le contronarrazioni agite dall’arte, prediligendo il contesto urbano e sociale come scena dei linguaggi contemporanei, con una particolare attenzione per i sistemi teorici della performance. Nei suoi libri e nelle sue mostre, in Italia e all’estero, è centrale la sperimentazione di formati ibridi tra arte e scienze sociali per coltivare la percezione politica dello spazio pubblico e della comunità. Su questo tema ha pubblicato, oltre a numerosi saggi, Memento. L’ossessione del Visibile (Postmediabooks, 2016). Insegna in istituzioni italiane e statunitensi ed è attivo in progetti e reti internazionali che sperimentano pratiche di arte e pedagogia non formale per l’educazione contro la discriminazione.
Ulteriori informazioni possono essere trovate qui
Presentazione e conversazione
Julia Bolton Holloway, Daniel-Claudiu Dumitrescu, Diamanta e Ionel Danila
Scuola di alfabetizzazione con i Rom
SCUOLA DI ALFABETIZZAZIONE CON I ROM
Ionel e Diamanta Danila, insieme a Julia Bolton Holloway, parleranno cultura rom, dei pregiudizi sui rom e la loro ignoranza, e sui modi attraverso cui ottenere integrazione. Sei anni fa, Ionel e Diamanta sono stati ingiustamente privati dei loro quattro figli; attualmente la Corte di Cassazione sta prendendo posizione in loro favore. Con altri rom, si prendono cura del cimitero monumentale detto “degli Inglesi”, sebbene di proprietà svizzera. Il cerchio si chiude così, visto che in Romania il popolo rom fu liberato dalla schiavitù dopo la pubblicazione, nel 1853, del libro La capanna dello zio Tom, che ripercorreva fedelmente i precedenti romanzi narrati di Frances Trollope e Richard Hildreth, entrambi sepolti nel Cimitero degli Inglesi, insieme a molti altri abolizionisti.
Workshop nell’orto sui semi, le piante, la luna (1/4)
Irina Aguiari (Dottoranda in scienze politiche e sociali)
LUNGHNASADH (sementi, stagioni, calendario lunare)
LUNGHNASADH
Relatore ospite: Francesca Volpe
Ci incontriamo in cerchio per co-creare conoscenza sui semi, le piante, la luna. La stagione è propizia per celebrare l’abbondanza della terra e allo stesso tempo per prepararci ai momenti di scarsità. Quattro laboratori ci stimoleranno a condividere, scambiare e generare saperi collettivi e comunitari attraverso l’applicazione di metodi di Apprendimento e Azione Partecipativi (PLA). Da questa metodologia accademica di ricerca scientifica, ricaviamo strumenti di gruppo per riflettere sul nostro rapporto con il cibo che consumiamo e l’autoproduzione in tempi di pandemia. Mappe di comunità, calendari stagionali, linee del tempo, photovoice sono alcune delle attività che svolgeremo insieme, alternate a dinamiche per conoscerci, rigenerare il corpo e stimolare la concentrazione.
Nel primo seminario della serie in quattro parti, sperimentiamo due diversi laboratori: la ruota dell’apprendimento e la mappatura di comunità. Mentre il primo ci aiuterà a mettere in circolo le nostre conoscenze, il secondo ci inviterà a riflettere sulle geografie del consumo alimentari e scambiamo pensieri e domande sulle proprie esperienze di consume alimentare con l’obiettivo di valutare la tracciabilità, la conoscenza e la lunghezza delle filiere alimentari che sosteniamo.
Francesca Volpe è nata a Firenze (1981), cresce selvatica tra campagna e città. Si laurea in giurisprudenza e si specializza in diritto dell’ambiente con un dottorato e diversi anni di attività accademica. Credendo nella validità dell’affermazione “sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”, attua nell’agriturismo di famiglia le buone pratiche di sostenibilità sulle quali svolge la sua attività di ricerca. È autrice di articoli su temi ambientali e su stili di vita improntati alla riduzione degli sprechi.
„La Toscana in Renault 4. Viaggio sui sentieri dell’ecofilia e della liberta“ di Francesca Volpe (Infinito Edizioni, 2020): Per ulteriori informazioni, clicca qui.
Proiezione film, discussione
In fuga dalla bocciofila (collettivo/blog letterario)
L’arte risponde al vuoto culturale: FAME di Angelo Milano e Giacomo Abbruzzese
Sarà presente il regista Angelo Milano
FAME
Regia di Giacomo Abbruzzese e Angelo Milano – Italia Francia 2017
Fame: bisogno molesto di mangiare, carestia, grande desiderio. Questo termine dà il titolo al Fame Festival, un evento rivoluzionario che dal 2008 al 2012 ha portato nella cittadina pugliese di Grottaglie i più grandi street artist del mondo, da Blu a Conor Harrington, da Erica il Cane a Os Games, da Escif a Vhils. Grazie al festival, nato dalla passione di Angelo Milano in un momento in cui la street art non era ancora stata sdoganata, le mura di Grottaglie si coloravano di graffiti e la cittadina ne usciva completamente reinventata.
Angelo Milano è nato a Grottaglie, Taranto, classe 83. Dopo studi in semiotica di cui si vergogna apre StudioCromie, galleria d’arte contemporanea e laboratorio di serigrafia artigianale a Grottaglie. Creatore del festival di arte pubblica Fame e del brand di abbigliamento Sangue. Ad oggi è il gallerista degli artisti con cui è riuscito a restare in buoni rapporti e non ha più voglia di fare vestiti.
In fuga dalla Bocciofila è un collettivo fiorentino che si occupa di cinema e narrazioni. Attivo dal 2014 con rassegne e proiezioni cinematografiche in luoghi atipici della città tra cui Manifattura Tabacchi, Todo Modo, Light, Ostello Tasso.
La proiezione avrà luogo alla presenza del regista Angelo Milano e seguirà un breve dialogo con il collettivo di In fuga dalla Bocciofila.
Workshop nell’orto sui semi, le piante, la luna (2/4)
Irina Aguiari (Dottoranda in scienze politiche e sociali) (vedi 15.07.)
WORKSHOP NELL’ORTO SUI SEMI, LE PIANTE, LA LUNA (2/4)
Nel secondo seminario della serie in quattro parti, ci dedichiamo alle pratiche e le credenze tradizionali che ricordiamo riguardo l’uso medicinale o alimentare di erbe, prodotti ortofrutticoli e riti contadini. Seguito da una discussione personale tra i partecipanti al seminario. Lavoreremo con dinamiche di gruppo come la finestra di Johari per condividere e moltiplicare i nostri saperi.
Introduzione al pensiero del naturalista Marcel Roland
Cristiano Barducci e Beatrice Caruso (artisti)
Marcel Roland, la grande lezione dei piccoli animali
LA GRANDE LEZIONE DEI PICCOLI ANIMALI
Naturalista francese, tra gli allievi del più famoso Fabre, Roland ha dedicato tutta la vita all’osservazione degli insetti, oltre a dedicare una monografia al canto delle cicale, dei grilli e degli uccelli. Roland parlava di dignità, rispetto assoluto e uguaglianza tra l’uomo e il più infimo insetto, anche quelli non troppo piacevoli a un primo sguardo. In una prosa poetica e scientifica al tempo stesso prende forma un mondo animale fatto di esseri senzienti, di cui sono svelati aneddoti, segreti, ambizioni.
L’evento vuole essere l’occasione per condividere con i partecipanti alcuni passi delle opere di Roland, ma anche un invito (o un promemoria) ad adottare uno sguardo umile e tenero verso gli altri abitanti di questa Terra.
Beatrice Caruso (Bologna, 1995), laureata in Arti Visive a Bologna presso l’Accademia di Belle Arti. Nel gennaio 2020, con l’installazione video „Est/Ovest (2 Agosto 1980)“, ha vinto il secondo premio al PubbliCITTA‘- Lost&found 1980-2020. Tra le sue recenti mostre e residenze d’artista ci sono: Apart-Augmented Public Art (Bologna, 2020), Segni di Resistenza (Bologna, 2019), Michelangelo Reoad II (Pietrasanta, 2018), Finilbuio (Mantova, 2018).
Cristiano Barducci (Siena, 1989) ha studiato sceneggiatura e documentario presso il Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma. Attualmente lavora come artista visivo, giornalista e fotografo. Le sue opere sono state premiate al Premio Circular Ecnomy (CDCA, 2019) e Capodarco Altro Festival 2018 (premio della giuria per il miglior documentario audio).
Dialogo sui rimedi per una guarigione sociale (5/5)
Patrick Joel Tatcheda Yonkeu (artista) con Black History Month Florence (BHMF)
Curarsi – Fischi per Fiaschi: Esercizi di Spaesamento e Impagliatura
Fischi per Fiaschi è una serie di 5 workshop intersezionali, dialoghi ed esercizi guidati da facilitatori trasversali alle discipline che seguono e guidano i partecipanti in un processo di disorientamento e riorientamento con l’obiettivo di elaborare le positività, evidenziare l’ignoranza come potenziale crescita e decentrare l’io in relazione ad una serie di aree di studio tra cui la musicologia, la creatività, l’etnografia, il patrocinio politico e il rituale. Ogni sessione è accompagnata da un laboratorio pratico collettivo che rielabora una tradizione toscana: l’impagliatura dei fiaschi. La frase “prendere fischi per fiaschi“ allude a forme di confusione o a drastici errori di percezione.
CURARSI – FISCHI PER FIASCHI (5/5)
Patrick Joel Tatcheda Yonkeu intraprenderà un dialogo sulla guarigione che disturba le gerarchie delle proprietà medicinali naturali rispetto alla medicina „moderna“, raccogliendo e scambiando i singoli rimedi e riflettendo sulla capacità di „curarsi“ dal punto di vista sociale.
Le erbe medicinali e le pratiche saranno condivise e analizzate con i partecipanti che porteranno i propri rimedi da condividere come mezzo per sviluppare un „kit di strumenti“ per la salute mentale, fisica e spirituale. Verrà introdotto il lavoro “dell’impagliatura dei fiaschi” e ogni partecipante sarà impegnato in questo mentre discuterà e scambierà gesti di cura e di guarigione. Le bottiglie diventano contenitori per ciò che viene elaborato.
Patrick Joel Tatcheda Yonkeu, in arte Omraam Tacheda nasce nel 1985 a Douala in Camerun. Studia scienze al St Jean Baptiste college de Bangangtè prima di vincere una borsa di studio per lo studio delle Belle Arti in Italia. Nel 2016 ha completato gli studi all’Accademia di Belle Arti di Bologna con un progetto di ricerca sullo Zen nell’arte. Vive e lavora a Bologna.
Nella ricerca artistica Tatcheda Yonkeu affronta spesso temi radicati nella spiritualità, cercando I meccanismi che regolano la società contemporanea. Il suo lavoro è la ricerca di una nuova forma di spiritualità più adatta al nostro tempo, con l’interesse a trasmettere la possibilità che, in qualche parte del mondo, ci sia una giustizia che possa soddisfare tutti nel miglior modo possibile. È il direttore di Black History Month Bologna.
Workshop nell’orto per bambine e bambini dai 6 ai 12 anni
Vaia Balekis (insegnante/curatrice)
IL CLUB DELLE LUMACHE: laboratori sulla meraviglia tra arte e natura
IL CLUB DELLE LUMACHE
Il parco di Villa Romana ospiterà bambine e bambini che vorranno entrare a far parte del club delle lumache. Il requisito è uno solo: essere curiosi!
Una serie di tre laboratori offriranno la possibilità di realizzare un orto – da curare, gustare e vivere – e di imparare a fare pizza e pane con le proprie mani e la propria fantasia. Andremo poi in giro per il parco a scoprire e raccogliere foglie e fiori da stampare su carta e cartoncini con la tecnica della serigrafia.
Ispirati dalla pedagogia del maestro Gianfranco Zavalloni, riscopriremo lentezza e meraviglia attraverso la pratica „del fare“ e nel primo appuntamento, il 21 luglio, realizzeremo il primo orto didattico di Villa Romana: perlustrando i suoi angoli e le sue varietà botaniche già presenti, sceglieremo il punto più adatto a impiantarlo.
L’ingresso è libero, il numero massimo di partecipanti è di 8 bambini/e. È necessaria la prenotazione scrivendo una mail a: vbalekis@gmail.com oppure un messaggio WhatsApp al numero 3336541257 specificando „iscrizione club delle lumache“.
Vaia Balekis, curatrice indipendente e insegnante, nata a Napoli, vive a Firenze. Amante e studiosa dell’arte e della botanica è profondamente convinta che la vera Rivoluzione siano: i bambini, la natura, tutte le espressioni artistiche e l’autoproduzione….cerca quindi di coniugare tutto questo nella sua pratica di insegnante e madre.
Il materiale verrà fornito dall’organizzazione.
Gli altri incontri sono martedi 04.08. e 25.08., 10:00.
(Immagine: illustrazione di Gianfranco Zavalloni)
Impianto di un orto medicinale (1/5)
Anastasia Remes (storica) e José Montealegre (artista)
Un orto medicinale
UN ORTO MEDICINALE (1/5)
In questa serie di cinque laboratori impareremo a conoscere le piante medicinali e a prendercene cura e avvieremo insieme la creazione di un giardino medicinale nel parco di Villa Romana. Coltivare un giardino può essere un’occasione preziosa per riconnettersi a se stessi, alla comunità e alla natura che ci circonda. Questo seminario vuole invitare i cittadini di Firenze alla pratica del giardinaggio (comunitario) e incoraggiarli a integrare questa pratica nella vita quotidiana della città.
La scelta di piante perenni, ben adattate al clima fiorentino, assicurerà la longevità del giardino. L’applicazione dei principi della permacultura garantirà che il nostro progetto operi in collaborazione con la natura, e non contro di essa. Ogni incontro si svilupperà intorno a focus specifici, diiscuteremo dell’importanza della biodiversità e della policoltura nella pratica agricola e conosceremo tanti aspetti pratici da attuare nelle nostre case e nei nostri giardini.
Nel corso del primo appuntamento lavoreremo divisi in gruppi. Ogni gruppo, a rotazione, assumerà diversi compiti essenziali, come trasportare materiali sul luogo destinato al giardino, prepararne il terreno, coprirlo con il compost e delimitare i confini esterni dell’area del giardino.
Le prossime date: 04.08. / 18.08. / 01.09. / 15.09., alle 17:00. Si potrà partecipare anche a singoli incontri.
Anastasia Remes è nata ad Anversa nel 1990. Ha studiato Storia a Gand e Pratiche Curatoriali a Francoforte. Attualmente sta scrivendo una tesi di dottorato sulla partecipazione dell’Unione europea alle esposizioni mondiali dagli anni ’50 ad oggi. Lavora presso l’Istituto Universitario Europeo di Fiesole, dove ha avviato un giardino di permacultura nel 2018.
José Montealegre (Tegucigalpa, Honduras, 1992) è un artista e vive tra Francoforte e Firenze. Si occupa di scultura, fotografia e stampa su una vasta gamma di materiali. Ha esposto allo Städelmuseum di Francoforte sul Meno, al Convent di Gand, alla Kunsthalle di Darmstadt e alla decima edizione della Biennale dell’America Centrale.
Lecture performance
Leone Contini (artista)
Digressioni para-vinicole
DIGRESSIONI PARA-VINICOLE
L.A. 2009, non si vende più vino italiano e il salesman è sull’orlo della bancarotta: “I’m sorry, no wine today”. Ma da neanche 10 anni i lieviti spontanei delle cantine di Oslavia stanno digerendo il succo di Ribolla Gialla friulana dentro anfore georgiane, sepolte a pochi metri dal confine con la Slovenia, mentre il vino georgiano, orfano del grande mercato URSS e dopo 3 anni di embargo russo, guarda a Occidente. E se le barrique francesi di Toscana perdono il loro fascino Anni ’90, e il mercato USA destrutturato dalla recessione si riempie di vini cileni a basso costo, nuove mitologie già macerano sulle bucce, e di lì a pochi anni i grandi orci per l’olio d’oliva, modellati a mano in creta imprunetina, si riempiranno di succo d’uva.
Leone Contini (nato nel 1976 a Firenze) ha studiato filosofia e antropologia culturale all’Università degli Studi di Siena. La sua ricerca, focalizzata per gran parte sulla questione interculturale, i conflitti e i rapporti di potere, lo sradicamento, la migrazione e le diaspore, prende a prestito gli strumenti dell’antropologia contemporanea allo scopo di creare un cortocircuito nel significato e nel sentire comune, inscenando conferenze-performance, eventi collettivi in spazi pubblici, narrazioni di testi o audiovisivi, blog e auto-pubblicazioni. Il suo lavoro è stato presentato in numerose istituzioni, tra cui: SAVVY Contemporary, Berlino (2019), ACUD, Berlino, (2019), Manifesta 12, Palermo (2018), Museo delle Civiltà, Roma (2017), Mudec, Milano (2017), Quadriennale, Roma (2016), Delfina Foundation, Londra (2017, 2015 e 2014), Khoj, Nuova Delhi (2014), Kunstraum, Monaco, D (2014), Kunstverein. Amsterdam (2013) e altri.
Workshop nell’orto sui semi, le piante, la luna (3/4)
Irina Aguiari (Dottoranda in scienze politiche e sociali) (vedi 15.07.)
WORKSHOP NELL’ORTO SUI SEMI, LE PIANTE, LA LUNA (3/4)
Relatore ospite: Alessandro Vergari
Nel terzo seminario della serie, co-creiamo un calendario stagionale delle nostre abitudini alimentari per mettere in relazione i prodotti ortofrutticoli che consumiamo con i diversi periodi dell’anno. Attraverso la rappresentazione dell’albero dei problemi analizziamo criticamente i nostri diagrammi.
Alessandro Vergari è da sempre viaggiatore, fotografo e camminatore, è guida ambientale escursionistica e presidente della cooperativa Walden viaggi a piedi. Spesso in giro per il mondo, ha però un luogo particolare in cui lui piace tornare per stare tranquillo e in semplicità, a contatto con la natura; il suo Orto di Olmo. Nato più di 23 anni fa, l’Orto non è solo un orto in cui coltivare degli ortaggi, ma un luogo dove può esercitare anche la sua creatività e fantasia ed è diventato uno spazio e luogo per emozioni e incontri, aperto a tutti quanti riescono a trovarlo.
Workshop nell’orto sui semi, le piante, la luna (4/4)
Irina Aguiari (Dottoranda in scienze politiche e sociali) (vedi 15.07.)
WORKSHOP NELL’ORTO SUI SEMI, LE PIANTE, LA LUNA (4/4)
Relatore ospite: Alessandro Vergari
All’ultima data della serie di seminari in quattro parti, esploriamo la ciclicità delle stagioni e dei raccolti. Le linee del tempo non lineari ci permettono di acquisire nuove conoscenze sui prodotti dell’orto e le sementi e allo stesso tempo di esplorare le diverse traiettorie che il cibo e l’agricoltura possono seguire.
Alessandro Vergari è da sempre viaggiatore, fotografo e camminatore, è guida ambientale escursionistica e presidente della cooperativa Walden viaggi a piedi. Spesso in giro per il mondo, ha però un luogo particolare in cui lui piace tornare per stare tranquillo e in semplicità, a contatto con la natura; il suo Orto di Olmo. Nato più di 23 anni fa, l’Orto non è solo un orto in cui coltivare degli ortaggi, ma un luogo dove può esercitare anche la sua creatività e fantasia ed è diventato uno spazio e luogo per emozioni e incontri, aperto a tutti quanti riescono a trovarlo.
Lecture e dialogo
Alessandra Tempesti (curatrice, Lottozero) con Marco Ferrari, Cristina Gallizioli (architetti)
Soft architecture
SOFT ARCHITECTURE
Talk con Marco Ferrari e Cristina Gallizioli, architetti.
Modera Alessandra Tempesti, curatrice presso Lottozero textile laboratories
Se pensiamo all’architettura, lo facciamo principalmente in termini di massa, mentre quello di cui facciamo effettivamente esperienza nella vita reale sono piuttosto superfici che circondano lo spazio in cui ci muoviamo, confini che definiscono volumi fatti di aria.
Gli architetti Marco Ferrari e Cristina Gallizioli stanno lavorando ad un progetto di ricerca che re-immagina un’architettura in cui mura e solai siano sostituiti da superfici tessili appese a strutture sottili, sfidando le convenzioni del costruire ed esplorando nuove possibilità spaziali. La logica sottesa al pensiero architettonico tradizionale e i suoi principi costruttivi si invertono così da suscitare un senso di accoglienza, maggior flessibilità e spazi abitativi più ampi; tra le superfici, l’aria si trasforma in un materiale da costruzione, un volume galleggiante che genera spazio e libertà di movimento.
Sviluppato nel corso di una residenza presso i Danish Art Workshops di Copenhagen nel 2019, con il supporto di Statens Kunstfond e Kvadrat, il progetto è tuttora in via di sviluppo e avrà un’ulteriore fase di sviluppo nel luglio 2020 attraverso un periodo di residenza presso Lottozero textile laboratories di Prato, dove verranno testate alcune soluzioni applicative in scala, utilizzando tessuti di aziende del distretto tessile pratese.
Concepito anche come momento informale di restituzione della residenza condotta a Lottozero (dove invece non potrà aver luogo alcun evento pubblico), il talk proposto per il giardino di Villa Romana vuole essere un momento di discussione e confronto con il pubblico su modalità differenti di concepire e immaginare non solo l’architettura ma anche i modi dell’abitare e la nostra percezione dello spazio domestico.
In collaborazione con: Kvadrat, Statens Kunstfond and Danish Art Workshops
Installazione nel parco
Arlo Haisek (artista, attivista): Message in a bottle, una scultura collaborativa contro l’usa e getta
MESSAGE IN A BOTTLE
Come ridurre il consumo di plastica usa e getta. Come riutilizzare il materiale che è già in circolazione e destinato allo smaltimento: una riflessione in chiave artistica che vuole lanciare nuove proposte rendendo partecipe la comunità e lasciando messaggi per il nostro pianeta. Il 22.9.2020, a fine esposizione, i messaggi saranno messi in mostra.
Arlo Haisek si è diplomato presso l’Istituto Statale d’Arte di Porta Romana Firenze nel 1997 nella sezione di oreficeria. Ha frequentato anche un corso di perfezionamento di pittura e scultura nel 1998/99 e 1999/2000. Ottenuto il diploma in oreficeria, realizza la collezione di gioielli Allarm incentrata sul tema della salvaguardia della natura. Usando forme di ingranaggi meccanici lacerati e sciolti da guerre ed esplosioni vi incassa frammenti di natura, divenuta ormai rara e più preziosa dei diamanti perché distrutta. La sua ricerca sulle superfici primordiali e naturali si evolve e così nasce la linea fusion texture, simili a colate laviche primordiali e wood, con le venature del legno. Ispirato da antiche civiltà e dalla storia dell’arte nasce il Pollock Tribute dove ricrea il dripping in getto di bronzo realizzando quadri in bronzo e gioielli, diventata la tecnica con cui maggiormente si esprime creando sculture e micro sculture legate all’ambiente naturale. Con Message in a bottle decide di concretizzare i suoi pensieri riguardo la salvaguardia della flora e fauna.
agosto
Installazione e performance
Emily Wisniewski (artista), Mikaela Wisniewski e Nicholas Herring Herman (danzatori)
Proprietà curative delle piante
PROPRIETÀ CURATIVE DELLE PIANTE
Un progetto artistico incentrato sul tema della nostra connessione con la natura e in particolare del nostro affidarci alle piante e alle loro proprietà curative. L’artista collega figure vegetali e persone, mettendo in luce l’interdipendenza della loro relazione. Riconoscendo il collegamento tra fotosintesi e respirazione e il rapporto di mutuo beneficio che si attua in seno agli ecosistemi, Emily ha realizzato un progetto che include altri esseri, sia umani che vegetali. Si è ispirata al movimento di due danzatori che hanno usato il loro talento di artisti e performer per mettersi in contatto con le piante attraverso coreografia, danza e respiro. Questo gruppo di artisti rende omaggio alle piante utilizzate nella ricerca scientifica per combattere virus come HIV, EBOLA, SARS e COVID 19; i loro contenuti e proprietà sono stati utilizzati dagli scienziati per la nostra guarigione e la nostra salute.
Emily Wisniewski ha conseguito il Master in Belle Arti al SACI. Ha presentato i suoi dipinti e le sue installazioni a livello internazionale, in sedi come il Museum of Contemporary Art Flagstaff e la Beasley Gallery (USA), lo Inline Contemporary Art Space di Londra, il Transcultural Exchange e la SACI Gallery. Lavora sulle connessioni spazio-temporali di natura e cultura; si dichiara felice di poter condividere a Firenze, con danzatori provenienti da varie comunità, la riflessione sul rapporto tra ricerca medicinale e flora naturale.
Nicholas Herring Herman, nuovo membro del team di danzatori e artisti, è ballerino, insegnante e artista visivo.
Mikaela A Wisniewski, coreografa, danzatrice e operatrice video professionista freelance, ha danzato con varie compagnie attraverso gli Stati Uniti, nel periodo in cui portava a termine gli studi e si laureava in Educazione alla Danza presso la Arizona State University. Durante questo periodo si è esibita in diverse produzioni ed è stata Direttore Artistico Associato di un festival di danza al Tempe Center for the Arts. Nell’autunno 2019 ha seguito la coreografia della premiere americana di The Hearth of Oksana. È felice di poter collaborare regolarmente con la sorella Emily, e intende questa collaborazione come un gesto di solidarietà finalizzato al superamento dei confini.
Workshop nell’orto per bambini dai 6 ai 12 anni (2/3)
Vaia Balekis (insegnante/curatrice)
IL CLUB DELLE LUMACHE: laboratori sulla meraviglia tra arte e natura
Il bellissimo parco di Villa Romana ospiterà bambine e bambini che vorranno entrare a far parte del club delle lumache il requisito è solo uno: essere curiosi!
Una serie di tre laboratori offriranno la possibilità di realizzare un orto, da curare, da gustare, da vivere; di poter imparare a fare pizza e pane con le proprie mani e la propria fantasia, inoltre andremo in giro per il parco a scoprire e raccogliere foglie e fiori del parco e poterli stampare su carta e cartoncini con la tecnica della serigrafia.
Il laboratorio ci farà scoprire i segreti della lievitazione e la antica arte della panificazione. Farina, acqua e lievito saranno i protagonisti di un laboratorio tutto da gustare!
Avviso: se ci fossero intolleranze o allergia al glutine è necessario avvisare preventivamente l’organizzazione!.
L’ingresso è libero, il numero massimo di partecipanti è di 8 bambini/e. È necessaria la prenotazione scrivendo una mail a: vbalekis@gmail.com oppure un messaggio WhatsApp al numero 3336541257 specificando “iscrizione club delle lumache“.
Il materiale verrà fornito dall’organizzazione.
Il prossima incontro: 25.08., ore 10:00.
(Immagine: Una illustrazione di Gianfranco Zavalloni)
Impianto di un orto medicinale (2/5)
Anastasia Remes (storica) e José Montealegre (artista) (vedi 21.07.)
IMPIANTO DI UN ORTO MEDICINALE (2/5)
In questo workshop lavoreremo divisi in gruppi. Ogni gruppo, a rotazione, assumerà diversi compiti essenziali, come trasportare materiali sul luogo destinato al giardino, prepararne il terreno, coprirlo con il compost e delimitare i confini esterni dell’area del giardino.
Laboratorio di rammendi tessili
Victoria DeBlassie (artista)
Fending by Mending is Better than Ending
FENDING BY MENDING IS BETTER THAN ENDING
Fending by Mending is Better than Ending (Arrangiarsi tramite il rammendo è meglio che se tutto stia finendo) è un seminario di due ore in cui l’artista Victoria DeBlassie insegnerà le tecniche di base della cucitura a mano in modo tale che si possano incoraggiare le persone a rammendare abiti strappati al fine di spezzare la mentalità che il nuovo è sempre innatamente migliore riflettendo così sulla mentalità consumistica generale di dover sempre acquistare nuovamente cose nuove, che alla fine porta a danni ambientali e più sprechi.
Victoria DeBlassie vive attualmente a Firenze ed è nata e cresciuta ad Albuquerque, New Mexico. Si è laureata nel 2009 con la laurea BFA presso The University of New Mexico nel 2009 e di nuovo nel 2011 con la laurea MFA presso il California College of the Arts. Ha ricevuto una borsa di studio Fulbright per l’Italia per l’anno accademico 2012-2013. Ha partecipato a numerose residenze artistiche come F.AIR Florence Artist in Residence (IT), DE LICEIRAS 18 (PT), Apulia Land Art Residency (IT), Hangar.org (SP), e The Bridge Art Residency (IT). Ha esposto a livello nazionale e internazionale con le seguenti mostre personali di recente: Anthropomorphic Cosmesis a Finestreria (IT), Plasticaia a Villa Romana (IT), e Afterimage a Srisa Project Space, Firenze. Ha partecipato alle seguenti mostre collettive di recente: Ecosistemi at Fondazione Biagiotti Progetto Arte (IT), Interpretation of a Seed at Le Murate PAC (IT) con Maria Nissan e poi Trame plastiche – oltre la superficie a Srisa Project Space (IT) con Leonardo Moretti.
Impianto di un orto medicinale (3/5)
Anastasia Remes (storica) e José Montealegre (artista) (vedi 21.07.)
IMPIANTO DI UN ORTO MEDICINALE (3/5)
In questo workshop concluderemo la realizzazione dell’infrastruttura del giardino medicinale. Daremo uno sguardo più da vicino alle piante che abbiamo scelto per popolarlo e sceglieremo una struttura per organizzarle all’interno del giardino.
Workshop nell’orto per bambini dai 6 ai 12 anni
Vaia Balekis (insegnante/curatrice)
IL CLUB DELLE LUMACHE: laboratori sulla meraviglia tra arte e natura
IL CLUB DELLE LUMACHE: laboratori sulla meraviglia tra arte e natura
L’ultima attività che impegnerà il Club delle Lumache sarà scoprire e realizzare la stampa in serigrafia.
Esplorando il parco di Villa Romana sceglieremo foglie di varie specie di piante per realizzare con le loro texture delle nostre stampe su carta assolutamente uniche.
Vi aspettiamo!!
L’ingresso è libero, il numero massimo di partecipanti è di 8 bambini/e. È necessaria la prenotazione scrivendo una mail a: vbalekis@gmail.com oppure un messaggio WhatsApp al numero 3336541257 specificando “iscrizione club delle lumache“.
Il materiale verrà fornito dall’organizzazione.
Riflessioni artistiche su funghi e muffe
Eva Sauer & Simoncini.Tangi (artisti)
IL SESTO REGNO
IL SESTO REGNO
Il sesto regno è una collaborazione tra il duo artistico Simoncini.Tangi e Eva Sauer.
L’ intervento si presenta come lecture ed esposizione nel giardino di due progetti separati, accumunati da forma e materiali come dal tema: il regno – antico quanto la vita – dei funghi e dei loro miceli. I funghi, che non sono nè piante nè animali, costituiscono un proprio regno. Nonostante siano presenti in saponi, medicinali, alimenti come nel corpo umano, non sono entrati a pieno nella coscienza dell’ uomo contemporaneo, o forse dovremmo dire che sono stati esclusi dalla conoscenza in un certo momento storico, perchè connessi con i rituali pagani e dunque malvisti dal potere clericale. Noi pensiamo che questo sapere debba essere recuperato ed ampliato, perché indispensabile per affrontare molti dei problemi odierni, dalla salute dell’ ambiente alla nostra, fisica e psichica. Infine crediamo che conoscere i funghi potrebbe renderci più indipendenti…
imagesInstallazione sonora tra gli alberi
Bérengère Chauffeté (paesaggista)
Osservatori silenziosi
OSSERVATORI SILENZIOSI
Come ha vissuto il lockdown il Giardino di Villa Romana?
L’installazione ci permette di prestare ascolto a coloro che non possiamo più udire.
Cosa possono raccontarci del lockdown gli olivi, gli arbusti e i melograni del Giardino di Villa Romana?
Cos’hanno percepito? Hanno sentito la mancanza della presenza umana?
Quando le piante raccontano la nostra storia, noi dobbiamo ascoltarle.
Si porrà la questione della socialità delle piante, dell’attenzione, di una pausa di silenzio e riflessione.
Bérengère Chauffeté è architetto paesaggista. Vive e lavora a Berlino.
Open workshop e presentazione
Ground Action (collettivo di architetti paesaggisti), a cura di Valeria d‘Ambrosio (curatrice)
URPFLANZE | Manutenzione come partecipazione
URPFLANZE
La pianta primitiva diventa la cosa più sorprendente del mondo: per essa la natura stessa mi invidierà
—Goethe, Viaggio in Italia (1816)
Cosa spinge la natura, nella sua millenaria identità, a un continuo reinventarsi, a un costante tendere verso qualcosa che ancora non è o che ancora non ha? È il divenire perpetuo che si traduce nel principio di libertà naturale: libertà di deviare dalle traiettorie stabilite, libertà di autodeterminarsi a seconda delle condizioni contingenti, libertà di distinguersi da sé per darsi una forma sempre nuova e in movimento. È la libertà della natura di svincolarsi dai limiti imposti dalla concezione romantico-moderna tendente all’evoluzione dell’animismo tradizionale nel tentativo di fare della natura qualcosa che sia a immagine e somiglianza dell’uomo. Non c’è niente che più ci allontana dallo spirito originario e in continua evoluzione della natura che antropomorfizzare la natura stessa, darle una forma chiara e ordinata basata su un gusto soggettivo, dotarla di un’anima di stampo antropocentrico che cambia a seconda del contesto socio-culturale di riferimento. Attraverso le “azioni di degradazione” di Ground Action che si concentrano sullo studio delle piante infestanti, sul riutilizzo di scorie e materiali di risulta e sulla concettualizzazione del disordine, intendiamo recuperare e manutenere la pianta originaria per dimostrare, contrariamente a quanto affermava Aristotele, che la natura non è importante finché serve l’uomo e all’uomo. Rendiamo percettibile l’impercettibile, udibile l’inudibile, visibile l’invisibile: Urpflanze come presenza piuttosto che come rappresentazione. (Valeria D’Ambrosio, curatrice)
Il laboratorio delle “azioni di degradazione” di Ground Action si terrà dal 27 al 29 agosto dalle 9 alle 12 e dalle 14 alle 18. Le persone sono invitate a prendere parte alle attività in qualsiasi momento: l’importante è indossare scarpe comode, guanti da lavoro e T-shirt bianca.
Se siete interessati ai workshop – scriveteci a office@villaromana.org.
Ground Action è un collettivo di professionisti esperti nel campo dell’architettura, del paesaggio e delle arti che si ispira a pratiche collettive, attive e partecipative della trasformazione dello spazio per realizzare progetti e azioni site-specific. Ground Action promuove la progettazione sostenibile, la manutenzione come forma di progetto, il riuso come azione di trasformazione. Ground Action ha come intento la produzione diretta e concreta di installazioni, interventi performativi e comportamenti virtuosi attraverso l’utilizzo e il riciclo di materiali di recupero. Ground Action si configura come un atelier di ricerca on site e open air volto a innescare o accelerare processi di rivalutazione di siti appositamente prescelti, rivendicando il valore performativo dell’azione nello spazio pubblico e nel paesaggio. Ground Action è Matteo D’Ambros, Sergio Sanna e Roberto Zancan.
imagessettembre
Impianto di un orto medicinale (4/5)
Anastasia Remes (storica) e José Montealegre (artista) (vedi 21.07.)
IMPIANTO DI UN ORTO MEDICINALE (4/5)
In questo workshop pianteremo le piante nel terreno, seguendo lo schema che abbiamo deciso per la loro coltivazione ed etichettatura.
Camminata silenziosa performativa
Laboratorio silenzio (compagnia teatrale)
SI‘LENTSJOSE TRACCE
SI’LENTSJOSE TRACCE
è una performance/laboratorio site specific, una camminata silenziosa in fila indiana della durata di due ore.
I partecipanti saranno dotati di cuffie antirumore e saranno chiamati a riscoprire in modo extraquotidiano lo spazio che li circonda e a lasciare tracce del loro passaggio attraverso piccole azioni performative. Le indicazioni di tutte le azioni saranno date in forma scritta, tramite un quadernino indossato da ogni partecipante, e in lingua dei segni dal conduttore, in modo accessibile anche a chi non la conosce. I partecipanti riusciranno così a collaborare stando in silenzio per tutta la durata del percorso.
La camminata silenziosa è aperta a un massimo di 20 persone, a partire dai 12 anni.
Per iscrivervi, scrivete a office@villaromana.org
Lettura di poesia sonora
Archivio Luciano Caruso con Antonio Petrocelli (attore)
Balbettando Marx: Brani di poesia sonora dall’archivio Luciano Caruso
BALBETTANDO MARX | PROGRAMMA
La serata propone all’attenzione del pubblico brani scelti di sperimentazioni fonetiche-sonore a partire da testi futuristi, passando poi dalle esperienze Dada, Surrealiste e Lettriste, fino ad arrivare alla “poesia sonora” sviluppata da alcuni autori contemporanei, italiani e internazionali, che hanno agito in questo ambito sperimentale vero e proprio incrocio di multiformi espressione artistiche, in cui si combinano secondo modalità diverse, scrittura, vocalità, musica e gestualità.
Il materiale utilizzato, spesso raro e prezioso, è tratto dall’archivio lasciato da Luciano Caruso, che contiene significative testimonianze nell’ambito di una poesia intesa come “fisicità e materia”, ben evidenziata ne Il colpo di Glottide, settimana di poesia internazionale che Caruso organizzò a Firenze nell’aprile del 1980.
Lo spettacolo inizierà con l’ascolto della registrazione dell’Inno patafisico, testo scritto da Luciano Caruso, musicato e cantato da Antonio Casagrande. Dopo una breve presentazione a cura di Sonia Puccetti, la manifestazione proseguirà con l’intervento di Antonio Petrocelli che reciterà e commenterà alcuni testi poetici. Infine la serata si chiuderà con l’ascolto di brani registrati tratti dai documenti dell’Archivio Caruso.
Programma:
Antonio Petrocelli leggerà:
Giacomo Balla: Macchina tipografica (1914)
Paesaggio + temporale (1915)
Francesco Cangiullo: Canzone pirotecnica (1915)
Fortunato Depero: Brindisi alla signora Jacobson (1929)
Hugo Ball: Karawane (1916)
Nuvolette
Louis Aragon: Suicide (1924)
Antonin Artaud:Centre pitere et potron chier (1946)
Bernard Heidsieck: Vaduz (1974)
Luciano Caruso: Balbettando Marx (1973)
Omaggio a Satie (1981)
Antonio Petrocelli, nato a Montalbano Jonico (Matera) nel 1953, è un volto familiare del cinema italiano, ha recitato in più di sessanta film, alcuni dei quali di grande successo: Caruso Pascoski, Palombella rossa, Il portaborse, La Scuola, Sud, Uomo d’acqua dolce… Ha lavorato con i più importanti registi italiani: Marco Bellocchio, Giuseppe Bertolucci, Nanni Moretti, Carlo Mazzacurati, Francesco Nuti, Gabriele Salvatores, Paolo Sorrentino…Ha vinto nel 1997 il premio Solinas, sezione Racconto Cinematografico, con il soggetto “All’alba il pane bianco” scritto con Franco Girardet. È autore del romanzo Volantini. Ora tocca a me partire, prefazione di Adriano Sofri (Premio Libernauta 2004). Per ARCHIVIA ha curato la traduzione dal dialetto tursitano della raccolta di poesie di Albino Pierro Il bacio di mezzogiorno. Il suo secondo romanzo, Il caratterista basilisco del cinema Scaturchio, è stato pubblicato nel 2010, seguito dalle sillogi poetiche Garofani (premio AlberoAndronico 2016) e Peraspina Perapoma (Fiorino d’argento al Premio Firenze 2019 e Premio Letterario Internazionale Città di Cattolica 2020).
La sua DECLAMAZIONE FUTURISTA è stata rappresentata in Italia e all’estero: recentemente al museo LUCCA nell’ambito della mostra dedicata a Depero.
Workshop/Incontro (2/2)
Fabrizio Ajello (artista) (vedi 25.06.)
Gli ultimi (non) saranno I primi: ipotesi e strategie per una scuola comunitaria
LAVORI IN CORSO.
Jacopo Natoli+Fabrizio Ajello+Licia Bianchi+Chiara Mu…LAVORI IN CORSO. Vi aspettiamo IL 10 pomeriggio per l’ultimo appuntamento del laboratorio!
Secondo appuntamento del laboratorio Gli ultimi (non) saranno i primi. Saranno messe in atto pratiche volte a ipotizzare strategie e proposte per rinnovare le relazioni tra le realtà culturali operanti a Firenze, partendo dall’istruzione, dalla formazione, dalla condivisione dei saperi e dalle vulnerabilità dei progetti educativi di oggi e di domani. Il laboratorio, aperto a tutti, si aprirà con un esercizio propedeutico proposto per l’occasione dall’artista Chiara Mu e con la condivisione del materiale elaborato nel precedente appuntamento. A conclusione del laboratorio verrà prodotta una fanzine con i risultati del lavoro collettivo.
Workshop e performance audio live (1/2)
Polisonum (collettivo sonoro)
Mouvement
MOUVEMENT
Open call per 8 performer
Workshop con Polisonum
14 e 15 settembre, dalle 14.30 alle 18.30
performance finale aperta al pubblico per partecipare
Per info e registrazione scrivete a office@villaromana.org. Deadline 01.09.20.
Il workshop è aperto a musicisti e a non professionisti.
Non vi sono limiti d’età.
Si richiede la partecipazione a entrambi i pomeriggi.
Il 14 e 15 settembre Polisonum presenta Mouvement, una composizione nata dalla rielaborazione del minuetto k94, eseguito da W. A. Mozart il 26 marzo 1770 a Bologna, durante il suo primo viaggio in Italia, a soli quattordici anni.
Attraverso la tecnica di time stretching la composizione k94 è sottoposta a una dilatazione di 248 anni, il tempo che ci separa dal giorno della sua prima esecuzione. A Villa Romana Polisonum ripropone l’esecuzione della partitura, espandendo la riflessione sul tema del tempo ad una dimensione esperienziale.
La performance sonora prevede la partecipazione di otto musicisti, coinvolti nel processo di ricerca attraverso un workshop: un percorso di due pomeriggi che ha come obiettivo stimolare l’attenzione verso la personale percezione del tempo quale principale mezzo espressivo dell’esecuzione.
Polisonum è un collettivo di ricerca artistica che utilizza il suono come metodo e dispositivo di indagine per esplorare le metamorfosi nei luoghi della storia e della contemporaneità, nei paesaggi e nelle geografie. Polisonum si contraddistingue per una ricerca diretta all’ascolto e all’interpretazione dei luoghi nei quali opera, naturali o appartenenti all’esistente costruito, attraverso installazioni che si traducono nella restituzione di tracce sonore, identitarie di un tempo lontano o poco percepibili nello spazio in cui oggi esse abitano.
Workshop e performance audio live (2/2)
Polisonum (collettivo sonoro) (vedi 14.09.)
Impianto di un orto medicinale (5/5)
Anastasia Remes (storica) e José Montealegre (artista) (vedi 21.07.)
IMPIANTO DI UN ORTO MEDICINALE (5/5)
In questo workshop vedremo più da vicino come usare le piante, come ricavarne liquidi e oli che i partecipanti potranno portare a casa per rilassarsi, godendo infine tutti i vantaggi di un giardino medicinale ormai portato a termine.
Open workshop
LA REGOLA da un‘idea e progetto di Daniele Milvio e Rita Selvaggio. Con il contributo di Fabio Cherstich e la partecipazione di Enrico David.
Per iscriversi al seminario scriveteci a office@villaromana.org
Agli iscritti saranno inviate istruzioni e programma dettagliato
Premessa: Regola
Troviamo un consesso che abbia come manifesta finalità quella di stilare una Regola a uso di artisti e intellettuali.
Data l’attuale incertezza economica e strutturale è utile immaginare una testo che possa guidare la salute del corpo, l’igiene mentale, il senso critico, l’indipendenza dal soldo, la sveltezza di mano e di testa, rinvigorire la vocazione dell’artista scalzandola da problemi contingenti, permettere attraverso l’apprendimento di una serie di nozioni pratiche di base, edilizia, botanica, alimentazione etc di acquisire un’indipendenza dal servizio altrui.
Piuttosto che sindacalizzare l’artista, come spesso oggi si tenta di fare, dare una norma per rendere la sua vita meno soggetta a regole di mercato o ad assistenzialismi. Una Regola che deve come tale investire il quotidiano, sottraendo all’arbitrio e alla distrazione aspetti non rilevanti della vita dell’intellettuale (orari, dieta, gestione delle distrazioni, dei vizi, del ciclo sonno veglia, della vestizione) in modo da conservare la sua forza fisica e mentale per raggiungere scopi più alti.
imagesOpen workshop
LA REGOLA da un‘idea e progetto di Daniele Milvio e Rita Selvaggio (vedi 16.09.)
La Regola:
Disciplina del quotidiano
L’igiene, la cura del corpo, la semplificazione
Alimentazione
Lavoro
Socialità
Economia
Abilià umane auspicabili
Tavola Rotonda
L’urbano che ancora non esiste
L’urbano che ancora non esiste
Serata finale di Scuola Popolare
L’incontro inizia alle 18.00 in punto, si svolge soprattutto all’aperto, in giardino, e nel rispetto delle misure Covid-19. Chi non potrà seguirci dall’inizio, è comunque invitato a unirsi a noi, qui sotto gli orari delle singole presentazioni:
18.00 Federica Castelli, Dottore di ricerca in Filosofia Politica, Roma Tre
18.30 Isabella Mancini, Nosotras, Associazione interculturale di Donne (Firenze)
19.00 Giacomo Zaganelli, artista (Berlino/Firenze)
19.30 Rita Adamo, La rivoluzione delle seppie, NPO (Belmonte Calabria)
20.00 Ornella De Zordo, Per un’altra città (Firenze)
20.30 Margherita Moscardini, artista (Donoratico)
Dopo tre mesi di quarantena, isolamento e introspezione siamo entrati nello spazio urbano con nuove aspettative. I centri turistici e storicizzati delle città italiane vivono un tempo sospeso, asincrono: dopo essersi convertiti ai desideri del turismo di massa, cercano nuove destinazioni d’uso; gli abitanti intanto riscoprono l’opzione della convivenza civile e il desiderio di stare insieme – che è urgente dopo il lockdown – va di pari passo alla rivendicazione degli spazi pubblici. Gli abitanti sono tanti e tanto diversi: per genere, età, provenienza, interessi, bisogni, possibilità e desideri.
Seppur per poche settimane, durante l’isolamento, abbiamo visto la solidarietà in atto, sotto forma di spese sospese ad esempio. A maggio e giugno, per la prima volta dopo forse un mezzo secolo, i bambini hanno giocato in Piazza Santa Croce a Firenze. Prima che questa nuova retorica della città ritrovata sia messa a guadagno esclusivo di pochi, prima che i cittadini e i residenti diventino il piano B di una città votata al turismo e non il referente primo delle politiche urbane, ci chiediamo come vogliamo vivere e far vivere lo spazio comune e l’ecosistema culturale ora e in futuro.
Lo spazio pubblico è un diritto di tutti? Ma chi ne parla e dove? Come possono viverlo i bambini, i giovani e gli anziani, le famiglie, gli amici e gli ospiti, i congiunti e gli sconosciuti? Ci sono spazi progettati per e dalle donne? È possibile concepire la città come un luogo eterotopico di intersezionalità? Come uno spazio di nuovi mutualismi e solidarietà? È possibile che la città non sia solo un arcipelago di luoghi privati di consumo? Si può ripensare una città come Firenze in termini di cittadinanza attiva, anti-razzista e convivenza solidale?
E ancora, cosa possiamo imparare da altri modelli di governo e spazi di auto-organizzazione? Cosa possono insegnarci i campi profughi nel ripensare le città del futuro? E se ne ripensassimo lo spazio in modo relazionale e performativo? Un locale assoluto – come lo definisce la filosofa Adriana Cavarero – che si estende nello spazio intermedio, dialogico e mobile di chi lo abita?
Photo: Giacomo Zaganelli
Felicità nello specchio (posteriore)
Sono passate tre mesi da quando abbiamo concluso l’estate di Scuola Popolare con una giornata di contributi e discussioni sullo spazio urbano che ancora non esiste.
Tra il 22 giugno e il 22 settembre, diverse centinaia di persone hanno partecipato agli oltre 50 appuntamenti nel giardino di Villa Romana. Dopo i durissimi mesi di isolamento da lockdown, i primi laboratori di Scuola Popolare sono iniziati con un sentimento di enorme gioia: finalmente la vicinanza, lo scambio, la fortuna di condividere di nuovo un terreno comune. Anche con una fiducia più o meno grande: le cose non possono andare avanti così. How can you dare …
Ora tutto è di nuovo cambiato, ci nascondiamo, cerchiamo la distanza: le cifre dei contagi sono fuori controllo, i nostri diritti fondamentali sono di nuovo limitati, le scuole, i teatri, i cinema, le sale d’esposizione chiusi. Ci troviamo di fronte ad un lungo inverno, che ci richiederà molta autoesortazione. Abbiamo chiesto ad alcuni dei tanti artisti e attivisti di Scuola Popolare di raccontare le loro esperienze e riflessioni. Ne condividiamo i testi, insieme ad alcune fotografie che speriamo possano rallegrare la grigia atmosfera di dicembre.
Per Villa Romana, la Scuola Popolare è stata un’esperienza immensamente arricchente: tante conversazioni, incontri, materiali e processi, discussioni politiche, affinità personali, tante occasioni per articolare sensibilità individuali e sociali in uno scambio diretto. Mille grazie a tutti i partecipanti!
Non vediamo l’ora che arrivi la Scuola Popolare 2021!
Il team di Villa Romana
Justin Randolph Thompson (artista, co-founder Black History Month Florence)
“Fischi per Fiaschi”
Justin Randolph Thompson (artista, co-founder Black History Month Florence)
“Fischi per Fiaschi”
„Prendere fischi per fiaschi“ significa confondere una cosa per un’altra, un fatto ricorrente quando si ascolta avendo determinate aspettative in mente o ancor di più quando non si ascolta affatto. Oggi con i nostri progetti e aspirazioni cerchiamo di passare dal piano meramente teorico della dialettica a quello di una pratica che favorisca la capacità di resistenza nella lotta contro l’ingiustizia razziale e la disparità storicamente consolidate. La nostra individuale relazione con la precarietà acuisce maggiormente l’annosa richiesta di ricalibrare i valori e di riconsiderare il ruolo dei nostri sistemi educativi nella difesa dell’equità. Riconoscere la carenza dei principi sociali fondamentali alimenta forme alternative di pedagogia, ma la consapevolezza da sola purtroppo non basta. Non abbiamo bisogno di un nuovo orientamento rispetto alla „Blackness“ e al suo rapporto con “l’italianità”, ma piuttosto di un disorientamento e di una rottura di quei valori che inquadrano le nostre interazioni, i canoni storici dell’arte. Dobbiamo valorizzare le nostre posizioni all’interno dell’attivismo antirazzista nella sua forma più basilare, ovvero promuovendo la responsabilità.
Qui proponiamo una forma di scrittura collettiva con la partecipazione dei mediatori che sono intervenuti al progetto “Fischi per Fiaschi” di BHMF, nell’ambito della Scuola Popolare di Villa Romana, presentando delle piccole storie che ci hanno coinvolto reciprocamente nell’ascolto, dando vita alla nostra capacità di raccontare, elaborare l’espressione creativa, o al bisogno di rappresentanza politica e al significato di cura. La serie di workshop è accompagnata dalla rielaborazione di una tradizione toscana risalente al milletrecento, vale a dire l’impagliatura dei fiaschi. Una tradizione che utilizza il lavoro delle donne come scambio sociale, laddove il tentativo di porre rimedio alla fragilità delle bottiglie diventa una metafora per mettere in atto la cura sociale. Utilizzando alcuni verbi riflessivi come punti di partenza per le visioni di cinque voci afro discendenti del panorama socio-politico italiano, intendiamo offrire un’introspezione articolata su quanto è necessario fare e sulle strategie per arrivarci con o senza passaporto.
Conoscersi (Conoscere sé stessi | conoscersi l’un con l’altro | conoscersi reciprocamente)
Angelica Pesarini – sociologa, docente di Black Italia presso la NYU, Firenze
Il mio intervento è stato a illustrare alcuni approcci metodologici in cui l’intersezionalità e la riflessività giocano un ruolo cruciale. Particolare attenzione è stata data all’incontro tra ricercatore e partecipanti durante il processo di intervista, una situazione in cui si possono generare rapporti di potere sbilanciati. Se da un lato il partecipante decide di raccontare una sua storia personale su una o più esperienze di vita, dall’altro l’ascoltatore ha il potere di produrre conoscenza organizzando i significati delle esperienze altrui in modo tutt’altro che neutrale. In questo processo è essenziale riconoscere le proprie emozioni e riflettere criticamente sulla propria posizione di ascolto per evitare di imporsi sulle narrazioni altrui.
Raccontarsi (Parlare di sè stessi | parlare di noi)
Dudu Kuoaté – griot, musicista, mediatore culturale, Bergamo
Parlare di noi stessi può significare dare agli altri qualche informazione sulla nostra vita, su chi siamo, ma per molti significa rivelare sé stessi e offrire una parte della propria storia, delle proprie emozioni e sentimenti. Raccontando agli altri di noi, parliamo a noi stessi. Ognuno è teatro delle regole e dei valori della propria tradizione orale e rappresenta per l’ambiente sociale ciò che l’ossigeno è per l’ambiente biologico. Lo storytelling mette in luce le nostre azioni attraverso l’uso del linguaggio verbale e non verbale e la rappresentazione teatrale del nostro patrimonio materiale e immateriale. La rievocazione di antiche tradizioni come ad esempio l’arte di intrecciare i vimini (i fiaschi), in un quadro ricco di suggestioni, generoso e condiviso facilita il risveglio di memorie individuali e collettive.
Esprimersi (Esprimere sé stessi | esprimere noi stessi)
Adama Sanneh – co-fondatore e CEO della Fondazione Moleskine, Milano
Maria Sebregondi, presidente della Fondazione Moleskine, scrittrice e poetessa, ha spiegato che la parola creatività viene dal latino “creare”. Una teoria etimologica avanza l’ipotesi che la parola derivi dall’antica radice sanscrita kar, da cui la parola greca keiros (mano). La creatività nella sua connessione con uno strumento complesso come la mano ha uno stretto rapporto con il “fare”, e di conseguenza con l’avvio di un processo trasformativo tangibile. Significa mettersi al lavoro. Il lavoro richiede strumenti, know-how e conoscenza. La creatività, rappresentata dal “fare” è alla portata di tutti ed è un valore collettivo. I vincoli sono ingredienti altrettanto importanti che ci spingono ad attingere a risorse inaspettate, riarticolandole in nuove dinamiche e linguaggi. In questo senso il lockdown diventa un nuovo limite che può essere nterpretato come un’opportunità di auto-esplorazione e creatività.
Rappresentarsi (rappresentare sé stessi | rappresentarsi reciprocamente)
Antonella Bundu – attivista, consigliera comunale, Firenze
“Fischi per Fiaschi” si è rivelato uno scambio reciproco in cui ho potuto avviare una discussione, offrendo spunti di riflessione su cosa sia la rappresentanza nell’attivismo e in politica, soprattutto a livello locale, di una cosiddetta minoranza, come donna e come donna nera (aggiungerei anche come donna di sinistra). Dai partecipanti ho ricevuto in cambio idee che porteranno senz’altro a nuove collaborazioni e che si tradurranno in azioni concrete. Questo scambio, avvenuto nell’arco di una mattinata, aveva un senso tutto suo: uno spazio aperto nella natura, delle sedie disposte in cerchio a simboleggiare il desiderio reciproco di imparare a intrecciare pensieri, opinioni come le mani imparano a tessere la paglia nera intorno alle bottiglie.
Curarsi (la cura di sé | prendersi cura di noi stessi)
Patrick Joel Tatcheda Yonkeu – artista, attivista, direttore di Black History Month Bologna
Se oggi con il termine “cura” ci riferiamo soltanto alla possibilità di accesso alle cure mediche, lo stesso non si può dire delle società che ci hanno preceduto. Al riguardo è utile riflettere sulla parola Ubuntu (io sono perché noi siamo). Lo scopo del mio intervento è di evidenziare l’aspetto psicologico nei processi di guarigione tramandati nel tempo dalle culture che ci hanno preceduto attraverso un percorso rituale. In natura le conoscenze deputate alla cura sono biologiche e non soggette alle nostre gerarchie sociali. Alla luce di questa crisi sanitaria di portata planetaria, siamo sollecitati a cambiare il concetto di cura globale nella direzione di una cura ambientale nel rispetto della natura.
(Articolo apparso su The Florentine, ottobre 2020)
Dott. Nicola Mariotti (psicologo / psicoterapeuta / psicanalista)
Una smisurata alterità
Dott. Nicola Mariotti (psicologo / psicoterapeuta / psicanalista)
Una smisurata alterità
Chi ti ha insegnato a prenderti cura della vita?
(Penso la vita come un dono alla vigilia del pensiero, un dono che non è dono di qualcosa né di qualcuno).
La domanda che ci è stata posta, viaggia dritto al cuore.
Al mio innanzitutto; come uomo e come psicanalista.
Tanto che potrei dire che la psicanalisi non è per me solo una professione ma la maniera di prendersi cura della questione del “prendersi cura” di se, del prossimo e della vita.
La cura, nelle parole del filosofo Walter Benjamin, è attenzione, e l’attenzione è la preghiera spontanea dell’anima affinché le cose siano benevolenti e mostrino il loro lato notturno, si concedano al “canto”, per poter dire ciò che di esse, alle cose stesse, rimane sconosciuto: la loro precarietà, la fragilità, il loro passaggio su questa terra.
Perché la vita passa senza dare, senza darsi, alcuna parola.
E proprio noi, i mortali, i più precari, i passanti, siamo incaricati di fermarla, di rivolgerle parola.
Noi siamo avviati a questionare le cose, per sapere da dove vengono e dove vanno.
Per farlo dobbiamo rimanere inerenti, dobbiamo rimanere fedeli, a ciò che delle cose, come dell’altro in generale, si intima in noi.
E’ il mistero dell’incontro.
Nell’ascolto analitico cerchiamo continuamente di farci strada verso ciò che rimane di un incontro, di udire qualcosa della pulsazione di questo che chiamiamo inconscio, vero luogo dell’annodamento all’altro.
E’ solo entro lo spazio dell’ascolto, che è un colloquio, qualcosa dell’altro si può dare, nel momento in cui spazziamo il campo dai nostri fantasmi e dal rumore di fondo della nostra sopravvivenza nevrotica (la dannata voglia di dominare gli eventi) lasciando che si costituisca colui o colei al quale ci dedichiamo.
L’altro viene ad essere allora.
Ogni volta, la prima volta. La sua presenza è una smisurata alterità con cui fare i conti.
E’ possibile?
Che ne è della nostra presenza di fronte a quest’altra presenza così radicalmente estranea?
O noi o lui?
O la sua presenza che non lascia parola innocente perché ogni parola è un tradimento, perché ogni nostra parola non è la sua, o la nostra presenza, la nostra testimonianza di questo incontro, nella speranza che gli si rimanga il più possibile fedele, che non si smarrisca quanto meno una eco di questo altro, di colui che ha parlato per primo.
La vita passa senza dare parola, senza darsi parola e accade come eredità impossibile al nostro pensiero, se non fosse per una certa necessità, con cui va a coincidere, una legge al fondo del nostro cuore, che la intima, stavolta nel senso che la presenta come un ordine perentorio, a cui siamo chiamati a rispondere, ciascuno a suo modo.
Questa chiamata è una chiamata vuota, una chiamata di nulla, priva di contenuti: un soffio.
(La parola poetica è un alitare nel vento, diceva Rilke).
Noi la avvertiamo come necessità, come un esigenza che culla l’essere e lo fonda come possibilità, come avvenire.
Alla sua chiamata potremmo rispondere “Eccomi!”, nell’ immenso sacrificio di tutte le parole, i discorsi, i gesti, potremmo testimoniare integralmente la vita in una spaventosa riduzione al mutismo, per tentare di dirne il silenzio.
Si può sacrificare l’intera esistenza, da cima a fondo, ma cosa resterebbe?
Cosa avrebbe da dire la cenere, dopo questo immenso olocausto di vita?
Non una parola le potrebbe cavare eppure essa è del fuoco più di ogni altra cosa.
Lacan – psicanalista francese – diceva che l’unico atto riuscito è il suicidio.
Ecco allora che ci muoviamo in un spazio-tra-le-due-morti, (per alcuni proprio questo sarebbe l’essenza della tragedia); lavitalamorte (scriveva il filosofo Derrida) come silenzio di fondo che chiama a quella fedeltà che si può dare solo nella fusione, nell’abbraccio mortifero con la vita con cui ci si dovrebbe intendere senza aprire bocca – questo sogniamo nelle nostri notte più ardite – e l’altra morte, ribaltata nella parola. Morte commentata, attesa dall’avvenire del discorso e progettata come sapere sulla morte; vita presa ed esaurita nella lingua, fine delle vicissitudini del domandare e del desiderare.
Come ci si prende cura della vita diventa una domanda che assume i toni di un invito a riflettere sui modi di poter essere fedeli alla vita pur facendone parola.
(Una parola-tenda, scriveva il poeta Paul Celan, che offra ospitalità e possa resistere allo spirare di venti contrari)
Come si resiste in questo spazio-tra-le-due-morti?
La parola “resistenza” assume qui il suo aspetto più nobile di un mandato etico, ben lontana dal significato che assume nella teoria psicanalitica classica.
Essa va nella direzione di un assunzione di responsabilità rispetto a questa chiamata e ci conduce alle soglie di quella necessità che ci penetra nel profondo e che coincide con la posta massima che l’inconscio mette in campo: desiderare ciò che non fu desiderato.
Qui si gioca l’ambivalenza del concetto di resistenza che può andare a coincidere con un movimento di rifiuto.
Ma se rifiutiamo ciò che fece a meno di noi, in noi ed è adesso per noi, se sia sul piano individuale che collettivo, ci crediamo e ci muoviamo come fossimo padroni di noi stessi (come si raccomanda in maniera più o meno velata in molte pratiche del benessere), tale necessità si manifesterà in noi in modo distruttivo e perverso nella forma di quello che Freud chiamava ritorno del rimosso – di cui i nostri sintomi sono la traccia – cioè il ritorno dell’impossibile come tale.
Freud sosteneva che siamo responsabili anche dei nostri sogni, di quegli aspetti cioè della vita che si testimoniano nella nostra intimità, lacerandola, portandovi una lingua estranea, fatta di immagini e di brandelli di discorso. Nel luogo di un estrema solitudine, di un intimo restringimento, proprio dove il nostro dominio appare incorrotto e mondato dalla presenza dell’altro, si manifesta qualcosa di misterioso e di radicalmente estraneo.
Freud ha avuto il merito di provare a pensare il campo del sogno come il luogo in cui siamo di casa e nel quale si tratta di tornare non come si torna al passato, ad un passato che una volta è stato presente, bensì nei termini di un avvenire, di un venire alla luce in questo luogo d’essere a cui siamo da sempre consegnati e a cui, anche il sogno, appartiene.
“Die Traumdeutung” è il suo saggio del 1899. La traduzione del titolo originale “L’interpretazione dei sogni” non è esatta e potremmo preferirle un’altra: “La significazione della ferita”.
Da Traum, sogno ma anche ferita e Deutung, significazione.
La ferita è questo campo aperto fra le due morti, tra il tacere della vita e la morte della lingua, che tenta di essere assorbita dal luogo da cui scaturisce, per cercare la testimonianza integrale, senza alcun resto, tenendosi tutt’uno con ciò che l’afferra.
Afferrata, avvinghiata, la vita lascia una traccia.
E‘ una traccia che avvia alla scrittura ma che non si dona mai integralmente, non passa mai tutta aldilà: la nostra lingua materna. Il segno dell’incontro con ciò che ci rimane invivibile.
Forse, per penetrare un po‘ il mistero, è una scrittura che si scrive nel luogo di un rapporto smisurato con la vita e al contempo di una solitudine altrettanto smisurata che non conosce testimoni: una scrittura che rimane illeggibile.
E‘ la solitudine dell’infante che s’impasta con l’aria che lo invade e più avanti del bambino, parlato, desiderato, avvolto dai discorsi familiari come un scialletto che continuerò a tessere per tutta la vita, per trovavi un po’ di tepore.
Molti saranno gli enigmi per un essere di parola.
Ma è anche la solitudine di certi passaggi in analisi, del poeta e dell’artista: la cui opera, se si mantiene fedele a questo iniziale segreto, è lascito, testimonianza di una pura singolarità che si erge, che sta al cospetto: nella memoria delle proprie date e nell’azzardo cerca un testimone per quella solitudine; un testimone per quel testimone muto che si mantiene tutto con l’accaduto.
La verità è sempre singolare.
Afferrata, avvinghiata, la vita lascia una traccia.
Noi non facciamo che lavorare questa traccia.
Nel gesto artistico, nella mano che cresce salda al vaso, come dice un poeta, non vi può essere altro testimone che la mano stessa in un gesto che arresta nella solitudine radicale e che lascia cadere la terracotta temprata da quell’incontro.
In questo senso il gesto artistico, come la parola sofferta e strappata al silenzio in analisi, ripetono il destino di quell’incontro fra due “tu” smisurati, da cui qualcosa si è staccato ed è rotolato al fondo dell’essere.
Un qualcosa che è solo ed in cammino.
Rimanergli inerente è prendersi cura della vita per guadagnare direzione e destino.
Nicola Mariotti
Eduardo Landim (attore, Open Program of the Workcenter of Jerzy Grotowski and Thomas Richards)
Cittadinanza attiva e i limiti dell’innocenza
Eduardo Landim (attore, Open Program of the Workcenter of Jerzy Grotowski and Thomas Richards)
Cittadinanza attiva e i limiti dell’innocenza
Mi chiamo Eduardo Landim, ho 32 anni, sono brasiliano e sono uno degli attori dell’Open program del Workcenter of Jerzy Grotowski and Thomas Richards.
Innanzitutto, vorrei sottolineare l’importanza dell’iniziativa di Villa Romana, la proposta di questa breve ma rivoluzionaria avventura della Scuola Popolare. È stata per noi una bella sorpresa e una sfida: siamo un gruppo teatrale, il nostro mestiere prevede, sì, l’incontro con il pubblico ma per lo più nel contesto di una struttura performativa. Per noi, elementi quali il canto, la danza e la recitazione sono sempre stati la base principale dell’incontro con l’altro. Tuttavia, la proposta di Villa Romana ci è sembrata sensata, sia in relazione all’impossibilità di incontrare il pubblico nei modi a noi più congeniali, a causa dell’emergenza sanitaria, sia in relazione al nostro percorso artistico e alla riflessione sulla nostra funzione nella società. In questo contesto, eravamo ancora artisti, ma denudati degli ornamenti appartenenti all’universo dello spettacolo. Eravamo un gruppo di persone libere di improvvisare, noi quanto il “pubblico”, senza una struttura teatrale, seppure all’interno di un contesto in parte strutturato, in modo tale da permettere il dialogo e offrire spunti per la riflessione.
L’evento da noi proposto per la Scuola Popolare si intitolava „Cittadinanza attiva e i limiti dell’innocenza: una conversazione su responsabilità, creatività e la costruzione di un mondo nuovo“. Si è svolto in due giornate con una settimana di intervallo fra di loro. Oltre all’opportunità di condividere esperienze e pensieri legati a tematiche toccate dal gruppo nel corso dei suoi quasi quindici anni di vita, abbiamo potuto ascoltare punti di vista diversi e riflettere insieme alle persone presenti in un modo che crediamo significativo e che, ne siamo certi, sarà un arricchimento per il nostro processo creativo. Processo che prosegue, nonostante le difficoltà del particolare momento che stiamo vivendo.
Lo scambio di riflessioni a proposito di argomenti delicati e importanti, quali responsabilità e cittadinanza attiva, razzismo interpersonale e razzismo sistemico, richiedeva un’attenzione particolare, non solo nel modo di porre determinate questioni, ma anche nella maniera di ascoltare ciò che veniva detto. L’efficacia della nostra azione, del nostro essere credibili su questo “palco” per noi così inusuale, risiedeva nella possibilità che l’esercizio di una cittadinanza attiva si manifestasse nell’atto stesso di discutere il significato e le implicazioni dell’essere cittadini attivi. Insomma, non si cantava, non si ballava, non si recitava, ma è stata una scoperta sorprendente che l’assenza degli elementi performativi propri del nostro mestiere non precludesse di per sé la possibilità che l’incontro con il pubblico avesse comunque una qualità “teatrale”, basata, appunto, su questa necessità di un certo modo di essere presenti, di parlare, di ascoltare.
Daria Filardo (storica dell’arte) e Chiara Camoni (artista)
Il patriarcato, l’autobiografia e il dialogo
Daria Filardo (storica dell’arte) e Chiara Camoni (artista)
Il patriarcato, l’autobiografia e il dialogo
9 Settembre 2020
Questi due testi sono stati scritti ognuno senza sapere dell’altro, e, per profonda risonanza, si integrano perfettamente.
Il lenzuolo bianco copriva alla rinfusa i corpi che si toccavano in alcuni punti; il libro e gli occhiali erano sul bordo sinistro del letto. Avevamo già preso il caffè, le tazzine erano ancora sul vassoio, dalla parte opposta del libro.
Non ricordo esattamente per quale associazione del pensiero ma presi il libro che avevo iniziato la sera e lessi il primo capitolo ad alta voce. La ‘critica rivoluzionaria di massa’ che avveniva durante la Rivoluzione Culturale di Mao era descritta attraverso la voce di un ragazzo, raccontava la storia di suo padre (avevo comprato questo libro leggendo la quarta di copertina che ne parlava come di un giallo ambientato a Shanghai). Ascoltò, poi parlò dell’ideologia, del potere che decide, di come Gramsci fosse dovuto morire (forse) allo scopo di impedire la formazione di un pensiero indipendente, di come Togliatti guardasse all’unione sovietica del tempo, di come Luciano Canfora avesse provato a replicare e proporre e di come Natta gli avesse detto ‘compagno Canfora, la storia è complicata’.
Non perdevo una parola, ma pensai pure a tutt’altro: al professore di storia e filosofia che parlava dei romanzi che raccontano le storie e che leggendoli capivi la Storia. Il contrario dei fatti, di un soggetto astratto che dice ciò che succede: storie costruite che affondano nella verità.
La ‘critica rivoluzionaria di massa’ mi faceva sorridere, forse perché non riuscivo ad essere una critica? (e quella finzione ideologica collettiva svelava l’inganno?). Il mio modo di fare storia dell’arte era diventato scrivere la mia storia, raccontare ciò che mi succede attraverso espedienti narrativi (veri): mettevo insieme autobiografia e dialogo, un ossimoro solo apparente.
Non era la prima volta che mi capitava di pensare che avrei voluto dire al professore di filosofia che avevo capito, ma lui non c’era più ed era una delle poche morti che mi dispiacevano davvero perché avrei voluto parlargli ancora. Per molti anni mi aveva messo a disagio, da quando aveva abbassato la puntina del giradischi su ‘pazza idea’ di Patti Pravo. Lo squilibrio di potere era dalla sua parte, io fuggii timidamente e senza dire una parola. Ma ‘la storia è complicata’, appunto. Io avevo fatto tesoro della lezione, ero diventa un soggetto che raccontava non solo di me (non ero la sola, anzi eravamo in tante).
Chiara mi spinse ancora un po’ più in là: ‘avresti dovuto, alla fine del tuo intervento, leggere anche le tue cose, insistere ancora di più su questo carattere autobiografico. Quando hai parlato del lavoro di Stefania e di Helen si sentiva che c’era un trasporto diverso. Dovevi parlare di più delle artiste con cui condividi delle cose, perché è proprio lì che avviene quella piccola magia che conosciamo.’ In effetti non avevo letto i miei scritti. Avevo letto quelli degli altri, avevo parlato di come la storia personale, i gesti quotidiani, anti-eroici, le chiacchiere mentre si fa altro, legano piccole comunità di donne (e uomini) che si raccontano e si ritrovano. Qualcosa di me ho raccontato però, di quando ho scovato in una bancarella di libri usati a Palermo, un libro che si chiama ‘In principio era Marx’, nella cui introduzione l’autrice scrive a un’altra donna. Un intervento completamente autobiografico che rilegge una storia importante in un modo diverso. Io pure cercavo di fare così: scrivevo dei fatti miei e delle persone che incontravo, in un miscuglio completo di arte e vita.
Chiara aveva proposto di fare piccoli gesti, come raccogliere foglie e fiori nel giardino della villa (qualche anno prima avevamo costruito dei fischietti di terracotta a Palermo). Insieme ad un piccolo gruppo di persone abbiamo composto i fiori e le foglie su delle lunghe sete stese su dei tavoli e alte come un corpo umano; Chiara ci raccontava delle creature dei giardini, dei fiori e di come si sarebbero potuti imprimere. Una volta sistemati i fiori le abbiamo spruzzate, arrotolate e lasciate li per la notte. Il giorno dopo abbiamo letto, sfogliato libri che avevamo portato, io ho parlato un po’ e poi abbiamo srotolato le sete. Erano ancora bagnate quando le abbiamo appese con delle pinze su un filo di metallo che avevamo legato fra due alberi. Come bucato al sole il colore dei corpi vegetali svolazzava davanti ai nostri occhi. In un cerchio sparso ci sedemmo, sull’erba davanti a quei protettori del giardino che diventavano sempre più verdi, gialli, violetti. C’erano anche dei momenti di silenzio, come a fare spazio a queste presenze che si univano al gruppo. ‘Ha la faccia tonda’, ‘ ha una corona in testa’, ‘ha le gambe piccole e storte’, ‘ha la gonna’, ‘la sua bocca è enorme’, ‘a me la bocca sembrava quell’altra più sopra’, ‘noo quello è il naso!’. (DF)
Alla fine, ci siamo seduti tutti sul prato.
Nessuno aveva voglia di andarsene, di chiudere.
Abbiamo aggiunto ancora qualche poesia, qualche brandello di lettura, per prolungare ancora.
Siamo rimasti lì a guardare quegli spiritelli che ci svolazzavano intorno, con la luce del giorno che finiva.
Forse aspettavamo qualche loro parola.
Oppure semplicemente ci godevamo quel tempo guadagnato, quel momento di verità silenziosa. (CC)
Alessandra Tempesti (curatrice, Lottozero)
Soft architecture
Alessandra Tempesti (curatrice, Lottozero)
Soft architecture
Scampoli di tessuto, distesi sull’erba. Sono tessuti per arredamento, pesanti e resistenti.
Giallo primario, rosso carminio, verde petrolio. A contrasto con l’altro verde dell’erba del giardino, più chiaro e appena bruciato dal sole estivo. Scelgo di partire dall’immagine, dai colori impressi nella memoria visiva in un tardo pomeriggio di fine luglio. Perché per qualche tempo siamo stati più sensibili a ciò che avesse una consistenza, una trama, una matericità, e non fosse soltanto immateriale e digitale.
Su quelle stoffe Marco Ferrari e Cristina Gallizioli hanno poggiato un modellino in legno che riproduceva in scala la struttura architettonica dell’edificio di Lottozero a Prato: un campo in miniatura di azione e sperimentazione per le loro ricerche sulla possibilità di immaginare una soft architecture, fatta di tessuti.
Quando i due architetti hanno iniziato ad interagire con il modello, alcune persone si sono alzate, altre un po’ avvicinate, per vedere meglio la trasformazione dell’edificio nelle loro diverse ipotesi di partizione interna degli spazi attraverso l’utilizzo del tessuto: stanze deformabili, stanze “appese” che si aprono come tende, solai a rete che permettono il passaggio della luce, pareti mobili e arrotolabili all’occorrenza.
A cielo aperto, nel giardino di Villa Romana, si è discusso di idee e visioni alternative al pensiero architettonico tradizionale. Si è aperto un nuovo immaginario, in cui è la persona a condizionare la logica strutturale dell’edificio, e non viceversa. Un nuovo concetto dell’abitare domestico.
La Scuola Popolare di Villa Romana ha intercettato questo e tanti altri esempi di libertà e creatività di pensiero. E lo ha fatto tempestivamente, con coraggio, dedizione e cura.
Pina Piccolo (scrittrice)
L’altro volto della poesia
Pina Piccolo (scrittrice)
L’altro volto della poesia
Cercando di evitare l’errore di codice che il virus vorrebbe trascrivere nei corpi che riesce a penetrare ma non per questo rinunciando ai piaceri e al potenziale del ragionare in comunione con gli altri, a volte s’incappa in soluzioni felici. Solo così potrei definire l’esperimento di Scuola Popolare che quest’estate si è tenuto nello stupendo giardino di Villa Romana in quattro fasi denominate Imparare e Disimparare, Sé Narrabili, Terra Feconda e Fuga.
In rappresentanza delle riviste digitali La Macchina Sognante e The Dreaming Machine io Pina Piccolo, insieme a Federico Picerni e Sana Darghmouni abbiamo partecipato alla prima fase con due appuntamenti di poesia transnazionale a inizio luglio, “L’altro volto della poesia cinese oggi” il 2 luglio e “Sulle ali della poesia dalla Palestina a Kolkata”, il 7 luglio.
Già il primo impatto con il giardino quasi tre anni fa aveva destato grande meraviglia perché, prevenuta dalla mia antipatia per i giardini rinascimentali che abbondano in città, non mi aspettavo una tale articolazione di spazi, il tutto senza soluzione di continuità. Invece attorno alla Villa la vista e gli altri sensi percepiscono un gradevole susseguirsi di angoli un po’ ‘selvaggi’ in cui le piante la fanno da padrone e radure che rivelano l’intervento di contadini, giardinieri e ortolani, il padiglione utilizzato per mostre e incontri, il gazebo, lo sdraio/letto finestrato per osservare le stelle, il bosco di bambù che attira ma crea apprensione allo stesso tempo, il più addomesticato orto con i pomodori e le melanzane, i peperoni e le piante aromatiche, la piccola piantagione di susini che hanno visto tempi migliori, gli ulivi giovani che si riappropriano della terra con le loro radici un po’ storte e forme bizzarre, i cipressi sul limitare a mo’ di barriera. Un misto di piante autoctone e di piante dalle provenienze lontane. Tutta questa diversità di forme, funzioni, espressività, stadi cronologici di sviluppo è solo la punta dell’iceberg di tutto quel lavorio di radici, funghi, intrecci, scambi di nutrienti e di informazioni – e chissà forse anche immaginazioni ed intelligenze eterogenee- che si dipana nel sottosuolo e di cui sappiamo molto poco. In un certo senso, da un lato il mistero dovuto alla nostra ignoranza degli ecosistemi ci ricorda dei nostri limiti nel campo dello scibile, ci rendiamo conto della nostra non conoscenza nel giardino, ma dall’altro la bellezza di questo locus amenus ci incalza ad esplorare quasi per analogia la bellezza del più misterioso dei generi letterari, la poesia, e nel nostro caso quella di un continente come l’Asia sul quale storicamente abbiamo proiettato abbondanti dosi di esotismo.
Grazie alle profonde conoscenze di Federico Picerni che da anni vi dedica approfondite ricerche per il suo dottorato, abbiamo ascoltato anche attraverso filmati le voci di lavoratori migranti, spesso ex contadini, alcuni di stanza a Picun, un sobborgo alla periferia di Beijing che si ritrovano per scrivere poesia e per perfezionare la propria formazione letteraria con l’aiuto di docenti universitari volontari. Tra il pubblico vi erano conoscitori della tradizione contadina toscana di poesia estemporanea in ottava rima che hanno messo in evidenza i punti di contatto tra queste esperienze solo in apparenza lontane. L’altro nucleo che abbiamo esaminato, quello dei poeti della Scuola Enciclopedica cinese, che ha attirato la nostra attenzione con il suo ambizioso programma di fondere umanesimo e scienze rinnovando il linguaggio poetico ci ha riservato una piacevole sorpresa in un secondo momento pubblicando sulla loro piattaforma in Cina immagini della serata e un resoconto. Questo desiderio delle radici di estendersi ed intrecciarsi ha avuto ancora una terza fase che pur avendo origine nel giardino di Villa Romana si è manifestata ben lontana: sono nati degli scambi tra i poeti cinesi e quelli indiani presentati nel secondo appuntamento e che prima non si conoscevano. Utilizzando l’inglese come lingua ponte hanno avviato un progetto di traduzione reciproco delle poesie presentate quella sera, mentre sul confine sino-indiano i soldati proseguivano le mortali scaramucce che ormai si ripetono da decenni.
E notizia della Scuola Popolare di Villa Romana è arrivata in un articolo del quotidiano principale di Kolkata grazie agli sforzi di Animikh Patra e Sanghamitra Halder, due dei poeti presentati il 7 luglio e che abbiamo ascoltato in video leggere le proprie poesie in Bangla con sottotitoli in italiano. Sullo schermo le loro teste campeggiavano accanto alle piante di pomodoro, sotto la fioca luce delle candele. La tecnologia, la poesia e la natura si muovono in maniere misteriose ma è come se per magia fossero artefici della chiusura di un circolo virtuoso tanto necessario in questi tempi di isolamento, scontro e menzogne. Chissà forse la poesia o le arti in generale ci salveranno – Grazie Villa Romana per offrire questi spazi.
Pietro Gaglianò (critico d‘arte)
La sintassi della libertà. Arte, pedagogia, anarchia
Pietro Gaglianò (critico d‘arte)
La sintassi della libertà. Arte, pedagogia, anarchia
Nell’immaginario di tutte le narrazioni di pedagogia radicale, libertaria, anarchica, anche in quelle legate alla realtà di contesti sociali complessi, di aree urbane marginali, di contrasti drammatici, c’è sempre l’evocazione di un prato, con un gruppo di persone radunate in cerchio sotto l’ombra di un albero. Dietro questa visualizzazione dell’incontro non si nasconde un pensiero lirico, idealizzato (dobbiamo ricordare che l’orizzonte di azione della pedagogia, così come dell’arte, non è antitetico al reale ma proprio all’ideale). Questa immagine del circolo di persone è la rappresentazione, pura e semplice, del patto pedagogico così come viene proposto nella teoria e nella pratica delle principali correnti di rinnovamento dell’edificio educativo negli ultimi duecento anni. Nella geometria del cerchio, originaria in tutte le compagini umane e nelle forme dei primi insediamenti (le prime abitazioni, i templi di pietra, e anche il primo teatro pare fosse un cerchio di persone attorno a un albero), si dichiara implicitamente la condizione paritaria di tutti i presenti, con uguale facoltà di parola, di intervento e di obiezione: una contestazione del principio di autorità in favore di un approccio di condivisione orizzontale, fondato sull’adesione volontaria, sulla responsabilità individuale, sull’autogoverno. Similmente l’ambientazione campestre (un parco, un prato aperto) indica un luogo del possibile, uno spazio alternativo o semplicemente non condizionato dalle architetture del potere di tutta la tradizione europea.
In questo spazio, che è dunque reale e non ideale, prende forma l’apprendimento, che non sempre ha bisogno dell’insegnamento (inteso come trasmissione verticale) ma che senza tale dimensione di reciprocità è solo ammaestramento. L’apprendimento è sempre un atto volontario così come la partecipazione alle occasioni in cui le persone scelgono di mettere in gioco le proprie storie, esperienze e competenze per una creazione di senso che sia autenticamente condivisa.
Il programma di “Scuola Popolare”, che ha incluso anche la conversazione con Ilaria Gadenz sul mio libro, ha dato vita molte volte a questo modello. Poter parlare de La sintassi della libertà. Arte, pedagogia, anarchia (Gli Ori, 2020) nel parco di Villa Romana, presso un grande albero, è stato come creare una speciale continuità tra le storie e le teorie raccolte nel libro e il modo per condividerle.
La cornice perfetta, reale e non ideale.
Cristiano Barducci & Beatrice Caruso
La grande lezione dei piccoli animali
Cristiano Barducci & Beatrice Caruso
La grande lezione dei piccoli animali
Alla grande aloe che troneggia nel giardino di Villa Romana non sarà di certo sfuggito il nostro imbarazzo iniziale. Per la prima volta eravamo ospiti e non spettatori.
Insieme a noi, davanti alla “platea”, piccoli libri ingialliti dal tempo e dal contenuto prezioso: storie d’insetti scritte da Marcel Roland, naturalista francese di inizio Novecento.
Non possiamo certo definirci entomologi, né divulgatori scientifici. Eppure, nelle lunghe settimane di lockdown trascorse lontano dalla città, circondati da montagne d’argilla, i racconti di Marcel hanno comportato per noi un cambiamento di paradigma. Non che prima odiassimo gli insetti, né, in verità, abbiamo superato tutte le paure verso alcuni di loro; un incontro notturno con uno scarafaggio rimane spiacevole tuttora, ma non possiamo negare una curiosità nuova e uno slancio a comprenderne le fatiche e le trame.
Ogni argomento scientifico ha una carica umanistica. Marcel illustra le biologie dei piccoli animali con una prosa a tratti poetica, e i suoi libri contengono un invito ad allargare il proprio sguardo, nobilitando ciò che è più vicino a noi. “Chi guarda le formiche? Chi perde il suo tempo ad osservare il ragno geniale? Pochi maniaci, un pugno di sognatori. Il resto preferisce ipnotizzarsi sulla politica, sul prezzo del burro, sul più recente delitto. Abbiamo perduto il senso dell’universale, il paradiso terrestre è troppo lontano.” Scriveva Marcel. A Scuola Popolare abbiamo voluto condividere lo stesso invito e lo stesso sguardo.
L’animale che ha introdotto il nostro talk, non a caso, è stata la chiocciola: durante l’inverno riduce le sue funzioni vitali al minimo e crea una barriera al cui interno si ritira, in attesa dei primi caldi, ovvero di tempi migliori. Le nostre comunità si sono rinchiuse in loro stesse per un tempo che è sembrato infinito. Ma non si può stare chiusi in eterno: alla chiocciola basta poco per risvegliarsi e tornare a vivere, talvolta una sola goccia di rugiada. A noi, un pomeriggio come quello trascorso a Villa Romana ci ha fatto riscoprire il piacere dei momenti d’incontro, a lungo negati.
Campo Base (collettivo curatoriale)
How to fall in love with a place?
Campo Base (collettivo curatoriale)
How to fall in love with a place?
„Which place taught you to take care of life?
The nomad’s identity is a map of where s/he has already been; s/he can always reconstruct it a posteriori, as a set of steps in an itinerary. But there is no triumphant cogito supervising the contingency of the self: the nomad stands for movable diversity, the nomad’s identity is an inventory of traces. Were I to write an autobiography, it would be the self-portrait of a collectivity.“
Rosi Braidotti, Nomadic Subjects
Il 3 luglio 2020 abbiamo organizzato una sessione di storytelling nel giardino di Villa Romana, nell’ambito del ciclo di incontri della Scuola Popolare. Si intitolava How to fall in love with a place? e rifletteva sul valore politico generato dal sentimento di affezione per un luogo.
Lo storytelling è uno degli strumenti della pratica curatoriale di CampoBase: a partire dalla creazione di una comunità temporanea, esso dà vita a una narrazione corale che, dalle esperienze di ciascun narratore, produce significati che rappresentino valori condivisi e comuni.
In questi mesi post-pandemici ci siamo chiesti come uno strumento che si basa sulla prossimità possa adattarsi anche nella distanza, come l’intimità possa essere evocata al di là della presenza. Questo testo è il tentativo di imparare, a partire dai meccanismi della narrazione orale che si innescano quando siamo seduti in cerchio con altre persone, nuovi modi di sviluppare un ragionamento e nuovi percorsi per lasciare che si dipani sotto gli occhi degli altri. L’input che ci è stato dato da Angelika Stepken (che ringraziamo per averci chiesto queste righe) è riassunto nella domanda Who taught you to take care of life?. Abbiamo trasformato questa domanda in Which place taught you to take care of life?: questo perché, se crediamo di poter provare amore per un luogo, allora certamente possiamo affermare di poter imparare qualcosa da questo. Nel presente, la nostra storia d’amore con i luoghi è sempre più frammentata, discontinua, la cartografia tracciata dai nostri spostamenti si espande e sembra eludere il radicamento. Attraverso i nostri racconti possiamo dare forma a un corpo unico e dislocato, a una soggettività nomadica e collettiva. La stessa che in queste righe parla dicendo «noi» e della provincia ci ha insegnato a fare le cose metà per gioco, metà sul serio, ma sempre con metodo: un esercizio che ci ha permesso di resistere a un contesto senza scampo, e di percorrere strade nuove con la stessa passione e la stessa ostinazione. In un villaggio di pescatori sull’Oceano Atlantico abbiamo imparato ad attendere con gioia: come quando si è in mare aperto e le onde sono troppo grosse, abbiamo imparato a rimanere a largo aspettando che arrivi quella giusta che ci riporti a riva. A radicare i nostri sforzi nell’attesa, nello stare fermi, piuttosto che nel dispendio di energie per raggiungere un luogo più sicuro.
Ogni tanto, se ci pensiamo, non riusciamo a mettere a fuoco un luogo specifico: attraverso il nostro movimento costante abbiamo imparato a costruire un arcipelago di luoghi che custodiamo dentro di noi. Ognuno di questi ci parla con una sua voce, con i suoi odori, le luci e i suoni, e ci insegna a prenderci cura di noi stessi e degli altri. Per esempio, in una scuola di teatro al piano terra di un palazzo storico, abbiamo imparato ad ascoltare i corpi degli altri, muovendoci nello spazio senza sovraccaricarlo con la nostra presenza né lasciarlo vuoto: abbiamo capito quando è il momento di intervenire e quando è necessario fare un passo indietro, quando suggerire la battuta corretta e quando abbandonarci felicemente all’errore. Nel recinto di una casa in una grande città abbiamo sperimentato come un luogo possa metterci in difficoltà e insieme portarci a prenderci cura di noi stessi e degli altri: abbiamo capito come una stanza possa risucchiare la nostra vita privata e professionale, facendoci perdere i confini tra le cose: abbiamo imparato a ridisegnare questi confini da soli e con le persone con cui viviamo, attraverso l’evasione e il ritorno, la tutela e la condivisione.
Ancora, nel giardino di una villa sulle colline fiorentine abbiamo riscoperto come si possa attendere insieme il tramonto; abbiamo imparato a dire ad alta voce i nostri amori finiti, nuovi, felici, tristi, abbiamo ricominciato di nuovo a toccarci senza toccarci davvero.
Edoardo Malagigi (partecipante)
La ricostruzione individuale di una relazione con i sensi
Edoardo Malagigi (partecipante)
La ricostruzione individuale di una relazione con i sensi
Siamo alla fine di giugno 2020 da pochi giorni è iniziata a Villa Romana una rassegna di eventi, si chiama Scuola Popolare. Ci sono, ma non so bene se mi ha attratto il desiderio di riprendere le relazioni dopo il lockdown o trascorrere del tempo in uno spazio di grande libertà fisica e mentale.
Tu sai che qualsiasi cosa ti possa capitare in quella villa la annoveri sempre fra gli aspetti positivi della tua esistenza, complice la iperconservatrice città dove ha sede la villa? Forse! La mancanza di verde trattato in modo intelligente nella città di Firenze? Forse! Persone divertenti che la Villa attrae? Forse! Nel mio caso forse anche il ricordo di esperienze creative condivise? Certamente! Una di queste fu la Babel’s tower commestibile, realizzata con Gaetano Cunsolo.
Villa Romana ha sempre rappresentato per me il richiamo della foresta, foresta di canne, e prati verdi con frutti e tanti alberi.
Da sempre Villa Romana è stata per la nostra generazione uno spazio di cultura contemporanea, adesso con Angelika Stepken, le sue collaboratrici e collaboratori mi sembra sia diventato anche un luogo di ricerca e della qualità di vita, anche condotto con un certo rigore.
Un rigore che ho sentito anche in questo ultimo programma di Scuola Popolare, la presenza di tanti gruppi o soggetti singoli che narrano esperienze, condividono sperimentazioni, secondo percorsi spesso introspettivi.
Un godimento dei sensi e dell’anima, forse complice il distanziamento sociale, ognuno poteva guadagnarsi sedili, cuscini, pancali e durante l’ascolto assumere così posture molto personali. In quello spazio la pandemia non è stata soltanto motivo di dialogo e nuova narrazione ma piattaforma di condivisione perfetta, direi anche planimetrica, finalmente quel cerchio con le persone in un dialogo prossemico sempre rispettoso delle differenze culturali.
E dire che erano sempre presenti persone di culture differenti, e religioni differenti, e sensibilità differenti, e infanzie differenti, e con dolori differenti ma con tanto rispetto uno dell’altro.
Ogni tanto pensavo che tutta questa fresca delizia di scambi mattutini e serali ce l’avesse mandata il covid 19, il rallentamento di tanta frenesia, la ricostruzione individuale di una relazione con i sensi oramai perduta e tante altre pratiche più o meno naturalistiche amorevolmente raccontate.
Questi bei temi non sono mai stati trattati da esperti o da specialisti, si sa che anche la politica offre esperti, ma dagli artisti, giovani donne e uomini ma artisti, una bella decisione che non smentisce la storia identitaria e centenaria di Villa Romana, verrebbe così riconfermato che l’arte contemporanea è una categoria della cultura contemporanea.
Si sa gli artisti lavorano su temi costruiti dalle loro irrefrenabili passioni, e tutti gli artisti relatori coordinatori o conduttori hanno agito nella Scuola Popolare senza freni, i temi sono la loro vita e sofferenza vissuta e loro sono stati nudi, mi sono sembrati tutti belli e onesti, escluso uno, vestito, imbottito e abbottonato, in qualsiasi posto c’è sempre qualcuno che ha sbagliato indirizzo, non dirò chi è stato.
Tutti hanno portato con amore e generosità i grandi interrogativi come solo l’arte sa fare.
Edoardo Malagigi
Leone Contini (artista)
Digressioni para-vinicole. Villa Romana, luglio 2020
Leone Contini (artista)
Digressioni para-vinicole. Villa Romana, luglio 2020
Marzo 2020, pendici del Montalbano in provincia di Prato. L’Italia entra in lockdown e per me si apre un piccolo universo nel raggio di 300 metri da casa: una fornace di terracotta semi-crollata, vasche di raccolta per l’acqua piovana invase di rovi, canali di drenaggio ancora funzionanti dopo decenni di abbandono, un boschetto in fiore di ciliegi inselvatichiti, ributti di vigne al bordo delle strade, sotto forma di tralci striscianti da radici mai estirpate, o in cerca di arbusti a cui “maritarsi”, secondo il vecchio uso contadino, che sfruttava un albero come supporto vivente della vite.
Nella stasi della quarantena i sensi si abituano gradualmente a percepire le tracce di un paesaggio sommerso, al di sotto della patina sgargiante della Toscana cliché creata dall’industria cinematografica, alimentare, enologica e turistica, che abbiamo finito per confondere con la realtà. Questo infra-paesaggio dai colori desaturati, terrosi, che adesso intravedo come una trama onnipresente, è quel che rimane di un sistema economico dismesso, fatto di necessità, dove il cipresso aveva un valore d’uso specifico, ad esempio, perché il suo legno non si tarla, e non serviva a decorare i tornanti collinari (che nessuno più fotografa). Quel sistema estinto è come un grande corpo, che in 60 anni di abbandono è diventato sostrato nutritivo della flora selvatica, abitato da volpi, lepri, gatti randagi, daini e cinghiali – la notte li sento grugnire sotto casa, la mattina constato con frustrazione che le bietole selvatiche sono state divorate, la terra è arata in profondità dai grugni famelici in cerca delle radici dolciastre. Ho cominciato a mangiare erbe spontanee, per evitare le auto-certificazioni e le file davanti alla piccola coop locale, mentre la curva dei contagi si impenna e un focolaio in una rsa poco lontana uccide gli anziani del paese: nel giorno della morte della centenaria di Comeana una cappa di tristezza opprime la campagna (non come metafora ma come un fatto fisico, o almeno così mi appare).
Passano le settimane, senza il fluido economico che la nutre la patina sgargiante del #tuscanlifestyle è ormai sottile, lacerata. Viceversa il corpo sommerso è sempre più nitido, affiora continuamente alla superficie, come un popolo di fantasmi che si risveglia in sussulti.
La primavera procede e le erbe spontanee diventano fibrose, comincio a fare l’orto, ma la terra è fatta di argilla e sassi. Ora capisco l’ironia di Hu, che chiamava “montagna” la media collina, innamorato della terra grassa e fertile della sua piana, a 10 minuti da qui: “in montagna non cresce niente”, in Toscana come nella campagna di Wencheng della sua infanzia. E mentre i semi dei miei progetti (sembrano lontanissimi) germogliano in semenzai improvvisati (2 acquari rotti), scopro una cisternetta sotterranea: contiene il “bottino” dei contadini che abitarono qui, letame stagionato per decenni, almeno a partire dai primi anni 60 quando anche loro fuggirono verso la pianura in cerca di benessere. Passo le giornate sottoterra a scavare quella miniera di concime quasi mineralizzato, una vera manna, cerco di polverizzarlo e di liquefarlo, mentre i germogli si trasformano in piantine e le notti diventano tiepide. Poi la curva comincia a calare, lentamente, e le piante si radicano in piena terra. Quando la mobilità è ripristinata io resto fermo, la primavera diventa estate e l’orto entra nel pieno della sua produzione. Grazie al letame di mucche vissute 60 anni fa, le “pugua” nate dai semi di Hu penzolano enormi, ovunque, mentre i loro tralci si avviticchiano ai “tenerumi” lussureggianti delle cucuzze siciliane. Vedo la movida estiva imperversare sui social, un’estate euforica, turismo interno, mi dicono che in Maremma è tutto pieno come negli anni 80. Ma io non mi muovo, non piove da mesi e devo annaffiare anche 2 volte al giorno, per fortuna la sorgente regge e l’orto produce a ciclo continuo. Anche la campagna si riempie di allegria, specialmente la sera, dalle coloniche affittate ai vacanzieri si spandono risate e musica fino a notte fonda.
Una delle poche infrazioni a questo regime di simbiosi con le piante è a fine luglio per le “digressioni paravinivole”, a Villa Romana, un tentativo di trovare un mio punto di galleggiamento nel vino, che della Toscana agricola di oggi è la vera linfa, e in cui sono immerso dalla nascita, e di posizionarmi nel groviglio delle sue politiche, dalle implicazioni etiche dell’agricoltura sostenibile a ritroso fino alle cattedre ambulanti di agricoltura che predicarono per prime il progresso e la modernità nelle campagne, delegittimando conoscenze secolari, esautorando le pratiche dei contadini a partire dai modi di coltivazione della vite fino alle tecniche di vinificazione, per creare un prodotto stabile, conservabile, esportabile, standardizzato, prestigioso.
Forse quelle digressioni hanno scavano dentro di me nuove possibilità. E mentre il contagio sale nuovamente, stavolta non come un’onda ma come una marea, il mosto ribolle in quella che fu la stalla delle mucche e negli anni 90 lo studio di un pittore olandese, dopo settimane di vendemmia selvaggia tra vigne abbandonate, abitate da lepri e fagiani, mai potate e mai trattate da anni. E in questo tempo di mobilità ridotta mi dedico a esperimenti di micro-vinificazione a partire da grappoli enologicamente inutilizzabili, perché spargoli, troppo maturi o ancora acerbi, generati da quelle viti fuoriuscite dal cerchio millenario della domesticazione, per “maritarsi” alla boscaglia.
Virginia Zanetti (artista)
Be a poem
Virginia Zanetti (artista)
Be a poem
L’emergenza del COVID-19 ha spostato l’atto creativo all’interno della vita stessa ma la poesia si rivela ancora uno dei migliori mezzi per trascendere il Tempo.
Il ricamo è una buona tecnica per indurre alla meditazione e calmare la mente e può diventare un buon mezzo per comunicare. Durante l’isolamento ho scritto dei pensieri ed utilizzato il filo d’oro per ricamarle su capi di abbigliamento personali.
Poi ho deciso di condividere con altre persone questa pratica, nell’ambito di Scuola Popolare, ripensando un progetto di performance collettiva che avrei dovuto fare a Marsiglia per Manifesta 13 invitata da Lori Adragna.
Ho scelto un luogo intimo del parco di Villa Romana, sotto a un albero di ulivo che ci ha riparati dalla calura estiva, il nostro dialogo è stato scandito dal canto d’amore delle cicale. Abbiamo sperimentato un differente tempo sospeso.
Ognuno ha espresso un proprio pensiero su questo periodo di isolamento e lo ha ricamato.
Queste frasi sono diventate una serie di poesie da indossare insieme per costruire una grammatica condivisa capace di superare confini ed isolamento.
زیر باران باید رفت (under the rain we must go ), Davood Madadpoor
take care of the one you love (prenditi cura di chi ami), Pamela Barberi
lupa (she wolf), Alice Ferretti
non è facile stare lontano da chi si ama (it is not easy to stay away from those you love), Lamin Cesay
confiance (faith), Maria Baldini
love one another (amarsi l’un l’altro), Bakary Suwareh
trust the silence (fidati del silenzio), Francesca Pirami
tutto è perfetto (all is perfect), Daniele Giannetti
respiro resiliente (resilient breathing), Simona Di Pasquale
conosci il tuo infinito (discover your infinity), Carla Bono
L’opera video di questa esperienza è il mio contributo per ARKAD, progetto curato da Dimora Oz e Analogique, un progetto di KAD per Manifesta 13, Le parallèles du sud.