„Prendere fischi per fiaschi“ significa confondere una cosa per un’altra, un fatto ricorrente quando si ascolta avendo determinate aspettative in mente o ancor di più quando non si ascolta affatto. Oggi con i nostri progetti e aspirazioni cerchiamo di passare dal piano meramente teorico della dialettica a quello di una pratica che favorisca la capacità di resistenza nella lotta contro l’ingiustizia razziale e la disparità storicamente consolidate. La nostra individuale relazione con la precarietà acuisce maggiormente l’annosa richiesta di ricalibrare i valori e di riconsiderare il ruolo dei nostri sistemi educativi nella difesa dell’equità. Riconoscere la carenza dei principi sociali fondamentali alimenta forme alternative di pedagogia, ma la consapevolezza da sola purtroppo non basta. Non abbiamo bisogno di un nuovo orientamento rispetto alla „Blackness“ e al suo rapporto con “l’italianità”, ma piuttosto di un disorientamento e di una rottura di quei valori che inquadrano le nostre interazioni, i canoni storici dell’arte. Dobbiamo valorizzare le nostre posizioni all’interno dell’attivismo antirazzista nella sua forma più basilare, ovvero promuovendo la responsabilità.
Qui proponiamo una forma di scrittura collettiva con la partecipazione dei mediatori che sono intervenuti al progetto “Fischi per Fiaschi” di BHMF, nell’ambito della Scuola Popolare di Villa Romana, presentando delle piccole storie che ci hanno coinvolto reciprocamente nell’ascolto, dando vita alla nostra capacità di raccontare, elaborare l’espressione creativa, o al bisogno di rappresentanza politica e al significato di cura. La serie di workshop è accompagnata dalla rielaborazione di una tradizione toscana risalente al milletrecento, vale a dire l’impagliatura dei fiaschi. Una tradizione che utilizza il lavoro delle donne come scambio sociale, laddove il tentativo di porre rimedio alla fragilità delle bottiglie diventa una metafora per mettere in atto la cura sociale. Utilizzando alcuni verbi riflessivi come punti di partenza per le visioni di cinque voci afro discendenti del panorama socio-politico italiano, intendiamo offrire un’introspezione articolata su quanto è necessario fare e sulle strategie per arrivarci con o senza passaporto.
Conoscersi (Conoscere sé stessi | conoscersi l’un con l’altro | conoscersi reciprocamente)
Angelica Pesarini – sociologa, docente di Black Italia presso la NYU, Firenze
Il mio intervento è stato a illustrare alcuni approcci metodologici in cui l’intersezionalità e la riflessività giocano un ruolo cruciale. Particolare attenzione è stata data all’incontro tra ricercatore e partecipanti durante il processo di intervista, una situazione in cui si possono generare rapporti di potere sbilanciati. Se da un lato il partecipante decide di raccontare una sua storia personale su una o più esperienze di vita, dall’altro l’ascoltatore ha il potere di produrre conoscenza organizzando i significati delle esperienze altrui in modo tutt’altro che neutrale. In questo processo è essenziale riconoscere le proprie emozioni e riflettere criticamente sulla propria posizione di ascolto per evitare di imporsi sulle narrazioni altrui.
Raccontarsi (Parlare di sè stessi | parlare di noi)
Dudu Kuoaté – griot, musicista, mediatore culturale, Bergamo
Parlare di noi stessi può significare dare agli altri qualche informazione sulla nostra vita, su chi siamo, ma per molti significa rivelare sé stessi e offrire una parte della propria storia, delle proprie emozioni e sentimenti. Raccontando agli altri di noi, parliamo a noi stessi. Ognuno è teatro delle regole e dei valori della propria tradizione orale e rappresenta per l’ambiente sociale ciò che l’ossigeno è per l’ambiente biologico. Lo storytelling mette in luce le nostre azioni attraverso l’uso del linguaggio verbale e non verbale e la rappresentazione teatrale del nostro patrimonio materiale e immateriale. La rievocazione di antiche tradizioni come ad esempio l’arte di intrecciare i vimini (i fiaschi), in un quadro ricco di suggestioni, generoso e condiviso facilita il risveglio di memorie individuali e collettive.
Esprimersi (Esprimere sé stessi | esprimere noi stessi)
Adama Sanneh – co-fondatore e CEO della Fondazione Moleskine, Milano
Maria Sebregondi, presidente della Fondazione Moleskine, scrittrice e poetessa, ha spiegato che la parola creatività viene dal latino “creare”. Una teoria etimologica avanza l’ipotesi che la parola derivi dall’antica radice sanscrita kar, da cui la parola greca keiros (mano). La creatività nella sua connessione con uno strumento complesso come la mano ha uno stretto rapporto con il “fare”, e di conseguenza con l’avvio di un processo trasformativo tangibile. Significa mettersi al lavoro. Il lavoro richiede strumenti, know-how e conoscenza. La creatività, rappresentata dal “fare” è alla portata di tutti ed è un valore collettivo. I vincoli sono ingredienti altrettanto importanti che ci spingono ad attingere a risorse inaspettate, riarticolandole in nuove dinamiche e linguaggi. In questo senso il lockdown diventa un nuovo limite che può essere nterpretato come un’opportunità di auto-esplorazione e creatività.
Rappresentarsi (rappresentare sé stessi | rappresentarsi reciprocamente)
Antonella Bundu – attivista, consigliera comunale, Firenze
“Fischi per Fiaschi” si è rivelato uno scambio reciproco in cui ho potuto avviare una discussione, offrendo spunti di riflessione su cosa sia la rappresentanza nell’attivismo e in politica, soprattutto a livello locale, di una cosiddetta minoranza, come donna e come donna nera (aggiungerei anche come donna di sinistra). Dai partecipanti ho ricevuto in cambio idee che porteranno senz’altro a nuove collaborazioni e che si tradurranno in azioni concrete. Questo scambio, avvenuto nell’arco di una mattinata, aveva un senso tutto suo: uno spazio aperto nella natura, delle sedie disposte in cerchio a simboleggiare il desiderio reciproco di imparare a intrecciare pensieri, opinioni come le mani imparano a tessere la paglia nera intorno alle bottiglie.
Curarsi (la cura di sé | prendersi cura di noi stessi)
Patrick Joel Tatcheda Yonkeu – artista, attivista, direttore di Black History Month Bologna
Se oggi con il termine “cura” ci riferiamo soltanto alla possibilità di accesso alle cure mediche, lo stesso non si può dire delle società che ci hanno preceduto. Al riguardo è utile riflettere sulla parola Ubuntu (io sono perché noi siamo). Lo scopo del mio intervento è di evidenziare l’aspetto psicologico nei processi di guarigione tramandati nel tempo dalle culture che ci hanno preceduto attraverso un percorso rituale. In natura le conoscenze deputate alla cura sono biologiche e non soggette alle nostre gerarchie sociali. Alla luce di questa crisi sanitaria di portata planetaria, siamo sollecitati a cambiare il concetto di cura globale nella direzione di una cura ambientale nel rispetto della natura.
(Articolo apparso su The Florentine, ottobre 2020)